Grazie alla giornalista Maria Del rosso per l'intervista al periodico NelMese
A questo indirizzo è possibile leggerla se avete piacere a farlo.
Ringrazio tutte le persone che non hanno temuto di sperimentare nuove strade con me.
Grazie alla redazione del Periodico di cultura NelMese e alla giornalista Maria Del Rosso per l'intervista. Buona lettura a chi avrà piacere di leggerla.
http://www.nelmese.com/2016/09/lisanti-la-poesia-e-un-silenzio-che-si-fa-sentire/
Le voci del silenzio di Nadia Lisanti
https://vimeo.com/108886797
mercoledì 14 settembre 2016
La poesia è un silenzio che si fa sentire
Grazie alla giornalista Maria Del rosso per l'intervista al periodico NelMese
A questo indirizzo è possibile leggerla se avete piacere a farlo.
Ringrazio tutte le persone che non hanno temuto di sperimentare nuove strade con me.
Grazie alla redazione del Periodico di cultura NelMese e alla giornalista Maria Del Rosso per l'intervista. Buona lettura a chi avrà piacere di leggerla.
http://www.nelmese.com/2016/09/lisanti-la-poesia-e-un-silenzio-che-si-fa-sentire/
A questo indirizzo è possibile leggerla se avete piacere a farlo.
Ringrazio tutte le persone che non hanno temuto di sperimentare nuove strade con me.
Grazie alla redazione del Periodico di cultura NelMese e alla giornalista Maria Del Rosso per l'intervista. Buona lettura a chi avrà piacere di leggerla.
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Etichette:
danza popolare,
fondazionevassallo,
gesti,
Lis,
ritmo,
segni,
silenzio
Grazie alla giornalista Maria Del Rosso per l'intervista al periodico NelMese.
A questo indirizzo è possibile leggerla se avete piacere a farlo.
http://www.nelmese.com/2016/09/lisanti-la-poesia-e-un-silenzio-che-si-fa-sentire/
Ringrazio tutte le persone che non hanno temuto di sperimentare nuove strade con me.
https://vimeo.com/108886797
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A questo indirizzo è possibile leggerla se avete piacere a farlo.
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Ringrazio tutte le persone che non hanno temuto di sperimentare nuove strade con me.
https://vimeo.com/108886797
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fondazionevassallo,
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scrittura creativa,
segni,
silenzio
giovedì 28 luglio 2016
Ritratti. Mamadou Dioume: “Viaggio verso lo sconosciuto” terza tappa dello Stage dal 15 al 20 Marzo a Milano
Foto Andrea Aquilante
Mamadou Dioume attore di fama internazionale si diploma presso l’Istituto Nazionale delle Arti del Senegal (INAS) dove consegue il primo premio “Prix de tragèdie” e interpreta numerosi importanti ruoli. Nel 1968 si fa riconoscere per il ruolo di Creonte nell’Antigone di Jean Anouilh, grazie al quale entra nel Teatro nazionale Daniel Sorano, dove lavora fino al 1984 sotto la direzione di Raymond Hermantier, compagno di Jean Vilar. Nel marzo del 1984 viene notato da Peter Brook che lo invita ad interpretare Bhima, il figlio del vento dalla forza prodigiosa, nel "Mahābhārata", Interpreterà questo ruolo sia in francese sia in inglese durante la tournée teatrale mondiale durata fino al 1988. Dopo il lavoro teatrale, gli viene proposto lo stesso ruolo per la versione cinematografica nel settembre 1988. Continua poi la collaborazione con Peter Brook e a la compagnia CICT, interpretando altre opere, tra le quali “La Tragèdie de Carmen”, “Woza Albert”, “La Tempète”. Ha inoltre diretto numerosi spettacoli nel mondo (in Norvegia, Francia, Africa..) e in Italia (a Torino, Napoli, Firenze, Roma, Bologna..) e preso parte in numerose produzioni cinematografiche tra le quali “The Tempest” di Julie Taymor. Dal 1991 dirige workshop e masterclass per attori in Africa e in tutta Europa arrivando a conseguire le conoscenze per trasmettere la forza delle sue tradizioni agli allievi europei. Ha diretto percorsi di formazione in tutta Italia. Collabora con diverse associazioni in Italia e dirige il Policardia Teatro Centro Di Creazione Internazionale con sede in Versilia.
Solo poche riche per un curriculum che si
esprime in vita attraverso l’esperienza con Mamadou Dioume, riflesso
incondizionato di ciò che profondamente equivale a fare esperienza di se
stessi, sempre che si sia persone aperte a cogliere i semi che ognuno di noi ha
dentro lasciandoli germogliare.
Fuor di metafora nel mezzo dello Stage “Viaggio
verso lo sconosciuto”, un percorso teatrale rivolto ad attori professionisti e
non concepito da Mamadou Dioume, ho la fortuna di incontrarlo:
·
Mamadou Dioume “Viaggio verso lo
sconosciuto”, una percorrenza all’interno di noi stessi e all’interno del testo
seguendo delle tappe e rapportandosi a tre opere scelte, Le Baccanti di
Euripide, Quai Ouest di Bernard-Marie Koltès, Joyzelle di Maurice Maeterlinck…Come si coniuga questo
intreccio esperienziale?
“Le tappe sono necessarie
per metabolizzare un testo…Quando
lavoriamo sulla fretta non viviamo qualcosa. Un’esperienza da vivere è la
verità altrui…La verità che incontriamo spingendoci verso lo sconosciuto, distaccandoci
da tutti i nostri bagagli perché ciò avvenga: non esiste una formula per andare
verso qualcosa ma spingere la persona verso lo sconosciuto amplifica la
conoscenza di quei semi che sono dentro di noi, e che hanno bisogno di tempo
per radicarsi e di esplorazioni per risvegliarsi…
E dobbiamo permettere a
questo tempo di esprimersi, così si cresce, andando oltre…
Il testo è lo sconosciuto,
una verità che non è la nostra ma viene da lontano…Un testo ci nutre ma
dobbiamo focalizzarci sul testo nudi, senza idee preconcette e, ciò di cui
parlo, vive ogni volta che incontro un capolavoro!
Se la persona è attenta, non
in un’analisi cerebrale, se è attenta perché libera dal proprio immaginario
preconcetto, quella persona diventa fertile all’ascolto e il testo comincia ad
esprimersi ad un altro livello di profondità…Lì se ascolti e fai lavorare la
vista percepisci Dante, lì si risveglia
Shakespeare, dandoti altre verità. Questi tre testi li porto con me da
un bel po’, dall’antichità, ci dicono cose che sono essenziali in rapporto alla
vita, noi ci basiamo su ciò che è scritto ma non andiamo mai oltre…
Eppure in un capolavoro c’è
una parte che è visibile e un’altra che è invisibile, come un segreto, e quella
parte ti parla solo se sei disposto a compiere un cammino verso lo sconosciuto,
senza paura: è in quell’esoterico che la conoscenza diventa un nutrimento per
te per gli altri che non puoi esprimere con le parole.”
· Le tappe propedeutiche sono conosciute,
il percorso attraversa le fasi dell’esplorazione del linguaggio del corpo a
partire dalla danza e il canto, passando per l’improvvisazione, in questo
lavoro di “limatura spontanea” che i partecipanti compiono su se stessi,
Mamadou Dioume come riesce a liberare o contenere le energie che durante il
percorso accoglie dagli altri?
“Le persone mi nutrono in
due fasi, la persona mostra il negativo, seguo la persona senza giudicarla,
l’accompagno ad un percorso…Se parlo troppo
faccio parlare la testa, ed è lì che mi si indica chi ha sete e fame ma deve
essere la persona disposta ad ascoltarsi, nel silenzio…Deposito tutto ciò che
mi arriva dalle persone, e poi faccio un’analisi e pulisco, la persona mi
nutre, nell’infinitamente grande che è il quotidiano…Se sei aperto la vedi e
ciò che viene fuori è una meraviglia, un’emozione che non si può spiegare, ma vivere e far vivere…La persona ti guarda e
sorride..”
· Mamadou Dioume è Bhima, il figlio del
vento, dalla forza prodigiosa nel Mahabharata a teatro prima e poi a cinema… Cos’è
la leggerezza e cosa la forza?
“Non ho la forza di cento
elefanti…(e sorride) quella è la storia
umana, è la distruzione, la distruzione è umana.
Tutto ciò che esiste ovunque giace dentro…
Mi allontano da questi
concetti, l’aria l’abbiamo come elemento, la leggerezza la ritroviamo in un cantastorie
e umanamente quella storia ci nutre perché andiamo verso una grande fantasia.
Nel 1985 quando siamo andati
in India uno dei saggi mi disse: “tu sei Bhima”, ma io ho il ruolo, mi sussurra
delle cose, mi accompagna e pian piano scopro
dei collegamenti in rapporto alle mie tradizioni, perché tutte le cose
che esistono sono delle cose umane…L’esperienza che ho vissuto è un’altra cosa,
mi sono sentito posseduto quando recitavo, ero io ma anche qualcosa che mi
sosteneva, una certa forza che non posso spiegare.
In India tu non puoi mai
dire perché, come, sappi ascoltare, qualcosa ti tocca e percepiamo l’essere:
recitare è condividere…Condivido con me, nutro la persona perché quella persona
è un terreno fertile, è essenza umana, nessuno stile”.
· Lo stage è concepito a tappe e con una
certa autonomia interna, si rivolge ad attori professionisti e non: che cos’è
l’umanità per te e come si radica in te stesso?
“L’umanità mi attraversa, mi
nutre.
Se divento arido qualcosa
non va è come se non ascoltassi quello che mi interessa, no?
E questo accade quando la
distinzione tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere persiste, perché
guardare non è ancora vedere.
Ma la vera umanità è la riconquista dell’infanzia, è:
“ora so ciò che ho saputo quando ero bambino”, è l’apertura totale,
incondizionata. L’amore colpisce tutti, l’amore non ha colore. Bene.
Recentemente ho incontrato l’umanità in un Tempio a Parma e poi in un anziano a
Roma che incontro sempre e l’ultima volta mi ha detto “Sorriditi”…”
Grazie
Mamadou Dioume
Nadia
Lisanti
- Qual è il segreto del mondo? -
foto Valerio Ceccarelli, sovraiscrizione Nadia
Siamo in
Garfagnana, terra a me sconosciuta, e per la precisione a Bagni di Lucca. Il
primo “peccato” è proprio questo e la gente del posto mi accoglie facendomelo
notare con un detto popolare che, ora non ricordo a memoria, ma il cui senso è
questo: “ Avrai visto Pisa e Venezia, Torino, Napoli e Firenze ma se te non hai
visto Bagni di Lucca, te non hai visto niente”. Son finita in questo magico
luogo per incontrare una persona meravigliosa: Mamadou Dioume. E così mi sono
iscritta al workshop Cammini organizzato dal Centro Internazionale di Teatro
Policardia con il Comune e la Proloco di Bagni di Lucca.
Unico contatto
prima di arrivare un certo Roberto Corso, che si è occupato delle comunicazioni
da diffondere attraverso il social e dell’accoglienza insieme a Valerio
Ceccarelli, presidente della proloco. E così per riabbracciare Mamadou mi sono
messa in cammino dalla Basilicata, ho coinvolto la mia clown preferita Mary e
con lei son partita alla volta di questa esplorazione. Materiale necessario al
workshop, tre palline da tennis, un tappetino da campeggio, abbigliamento
comodo, un bastone di legno e il libro di J. C. Carrière Il segreto del mondo. Il viaggio con i regionali delle Ferrovie
dello Stato da Picerno (PZ) a Bagni di Lucca dura quasi dieci ore e le abbiamo
percorse tutte per trovarci lì a meno un quarto d’ora dall’inizio del lavoro.
La prima cosa che ho sperimentato e percepito, prima di abbracciare Mamadou, è
dunque questa: la Basilicata è più terza del terzo mondo come scriveva il
bambino del libro di Marcello Orta*, sì, ma è pur vero che il tempo è una
dimensione elastica e l’attesa di un incontro importante mi ha fatto percepire
la distanza dimezzata, mi son sembrate cinque ore di viaggio, non di più.
Arrivata a Bagni di Lucca con un passaggio in auto dalle ragazze iscritte allo
stesso workshop, scendiamo dall’auto ed ecco, materializzarsi in carne ed ossa,
il profilo di Facebook: Roberto Corso. Ci accompagna, gentilmente, all’Hotel
Europa e ci indica il percorso che dovremmo fare a ritroso per raggiungere il
circolo dei Forestieri dove si terrà l’esperienza di tre giorni con Mamadou
Dioume. Il tre Gennaio, atmosfera intorno è quella natalizia, il borgo ha luci
accese e angoli pittoreschi, somiglia tanto ad una location cinematografica
senza cameraman che girano. Saranno andati tutti a riposare e sono le 17:45?
Lavorano di notte come Mamadou?Questo è il segreto del mondo?!
Affrettiamo il
passo e siamo davanti al Circolo dei Forestieri, realizzo avvicinandomi che
quell’altezza è Mamadou Dioume, corro verso di lui e faccio per abbracciarlo a
mo’di Nadia, lanciandomi al collo ma Mamadou mi ferma, donandomi la sua
estraneità: - Sono all’antica Nadia, sono io che mi porgo verso la donna – Rewind. Tutto da rifare ma è così che ci si
abbraccia incontrando un’altra cultura, così che ci si conosce, da un gesto, il
primo, quello più spontaneo per me quando voglio bene a qualcuno.
E io a Mamadou
voglio un gran bene. Dopo una dissolvenza su questo piano relazionale, ad
abbraccio sciolto ho il piacere di stringere la mano di Andrea Elodie Moretti,
direttore del Policardia e a Valentina, compagna di Mamadou. Stessa sorte tocca
a Mary come in ogni rito che si rispetti. Si parte, via, si entra nella Sala
Rosa del Circolo e si è rapiti dal lavoro di Mamadou con un gruppo di
adolescenti. Le prime due ore ci coinvolgono così, siamo osservatori silenziosi
e rispettosi di quanto accade. Jean Claude Carrière, si siede accanto a me,
come fantasma di un’opera che si sta creando sotto i miei occhi, fra tanti
altri occhi, mani, respiri, piedi, persone che diventano miei compagni di
viaggio, complice segreto di ogni silenzio o parola, gesto o seduzione, postura
o espressione che ci circonda. Siamo vivi e siamo in compagnia di vivi e morti,
siamo assorti in continui risvegli, il tempo è una dimensione elastica, ritorna
ad ogni sensazione, si sprigiona dalle viscere della terra fino ad esalare
attraverso le venature del legno per farsi sospiro, attrito e distanza, passo e
costanza. Assume forme geometriche di un assolo che in prosaici atti di vita
quotidiana ricrea l’ensemble, lì sotto gli occhi dell’autore, sotto i piedi di
un Attore che ci invita, evocando i continenti e tutti i cammini che li hanno
attraversati, a compiere un viaggio verso noi stessi: è così che si incontra
l’altro. E penso al gup generazionale, a questa formula in cui stiamo
ingabbiando chilometri di civiltà per allontanarci dalle persone, quando
basterebbe concepire la narrazione come ciò che è sempre stato, il presupposto
di una tradizione, il principio cardine di una realtà che si tramanda. E penso
anche a loro, a tutte le persone sorde verso le quali abbiamo creato un divario
culturale perché, non accedendo alla loro lingua, ne ignoriamo la storia. E penso anche a tutti i Maestri che dalla
nascita ad oggi mi hanno trasmesso conoscenza, e che nella parola e della
parola, ne hanno fatto strumento di percezione della realtà. E mi chiedo
allora, dopo un lavoro intensivo sul linguaggio del corpo, dopo aver acceso un fuoco insieme ai miei
compagni di viaggio e narrato una storia come si faceva una volta, dalla notte
dei tempi, in ogni civiltà e ad ogni latitudine umana: - Qual è il segreto del
mondo? –
Forse il
segreto è solo la vita in tutto il suo mistero.
E il mio
viaggio continua, mi arricchisce di bellezza, sta negli occhi di chi ci
fotografa, Valerio, che di Bagni di Lucca non è ma che a Bagni di Lucca resta
perché in quel luogo è sepolto suo figlio. E mi viene da piangere per tutta la
meraviglia che si nasconde nel legame con la terra, con le radici, con la vita,
con la morte, con il futuro che si fa presente, puro e semplice istante in cui
tutti noi stessi ci trasportiamo da un luogo ad un altro, centimetro dopo
centimetro, ora dopo ora. E così ogni spazio umano diventa un tempo naturale
che asseconda il ciclo del giorno e della notte, un orologio immateriale che
come un diapason accorda i respiri dell’universo. Il segreto del mondo allora,
siamo noi stessi, esseri senzienti senza direzione, zingari distratti con il
peso di domani, angoli sepolti da una briciola di pane che continuano a lottare
per un soffio di vento.
Questo vento
che è, anche quando non si sente, impercettibile suono che dà voce al silenzio,
è, anche quando non si vede.
-
Qual è il segreto del mondo allora? –
-
Il silenzio con cui gli occhi lo ascoltano? –
Grazie Mamadou
Dioume e grazie a tutti, compresa me che
ha camminato verso Te.
- Qual è il segreto del mondo? -
foto Valerio Ceccarelli, sovraiscrizione Nadia
Siamo in
Garfagnana, terra a me sconosciuta, e per la precisione a Bagni di Lucca. Il
primo “peccato” è proprio questo e la gente del posto mi accoglie facendomelo
notare con un detto popolare che, ora non ricordo a memoria, ma il cui senso è
questo: “ Avrai visto Pisa e Venezia, Torino, Napoli e Firenze ma se te non hai
visto Bagni di Lucca, te non hai visto niente”. Son finita in questo magico
luogo per incontrare una persona meravigliosa: Mamadou Dioume. E così mi sono
iscritta al workshop Cammini organizzato dal Centro Internazionale di Teatro
Policardia con il Comune e la Proloco di Bagni di Lucca.
Unico contatto
prima di arrivare un certo Roberto Corso, che si è occupato delle comunicazioni
da diffondere attraverso il social e dell’accoglienza insieme a Valerio
Ceccarelli, presidente della proloco. E così per riabbracciare Mamadou mi sono
messa in cammino dalla Basilicata, ho coinvolto la mia clown preferita Mary e
con lei son partita alla volta di questa esplorazione. Materiale necessario al
workshop, tre palline da tennis, un tappetino da campeggio, abbigliamento
comodo, un bastone di legno e il libro di J. C. Carrière Il segreto del mondo. Il viaggio con i regionali delle Ferrovie
dello Stato da Picerno (PZ) a Bagni di Lucca dura quasi dieci ore e le abbiamo
percorse tutte per trovarci lì a meno un quarto d’ora dall’inizio del lavoro.
La prima cosa che ho sperimentato e percepito, prima di abbracciare Mamadou, è
dunque questa: la Basilicata è più terza del terzo mondo come scriveva il
bambino del libro di Marcello Orta*, sì, ma è pur vero che il tempo è una
dimensione elastica e l’attesa di un incontro importante mi ha fatto percepire
la distanza dimezzata, mi son sembrate cinque ore di viaggio, non di più.
Arrivata a Bagni di Lucca con un passaggio in auto dalle ragazze iscritte allo
stesso workshop, scendiamo dall’auto ed ecco, materializzarsi in carne ed ossa,
il profilo di Facebook: Roberto Corso. Ci accompagna, gentilmente, all’Hotel
Europa e ci indica il percorso che dovremmo fare a ritroso per raggiungere il
circolo dei Forestieri dove si terrà l’esperienza di tre giorni con Mamadou
Dioume. Il tre Gennaio, atmosfera intorno è quella natalizia, il borgo ha luci
accese e angoli pittoreschi, somiglia tanto ad una location cinematografica
senza cameraman che girano. Saranno andati tutti a riposare e sono le 17:45?
Lavorano di notte come Mamadou?Questo è il segreto del mondo?!
Affrettiamo il
passo e siamo davanti al Circolo dei Forestieri, realizzo avvicinandomi che
quell’altezza è Mamadou Dioume, corro verso di lui e faccio per abbracciarlo a
mo’di Nadia, lanciandomi al collo ma Mamadou mi ferma, donandomi la sua
estraneità: - Sono all’antica Nadia, sono io che mi porgo verso la donna – Rewind. Tutto da rifare ma è così che ci si
abbraccia incontrando un’altra cultura, così che ci si conosce, da un gesto, il
primo, quello più spontaneo per me quando voglio bene a qualcuno.
E io a Mamadou
voglio un gran bene. Dopo una dissolvenza su questo piano relazionale, ad
abbraccio sciolto ho il piacere di stringere la mano di Andrea Elodie Moretti,
direttore del Policardia e a Valentina, compagna di Mamadou. Stessa sorte tocca
a Mary come in ogni rito che si rispetti. Si parte, via, si entra nella Sala
Rosa del Circolo e si è rapiti dal lavoro di Mamadou con un gruppo di
adolescenti. Le prime due ore ci coinvolgono così, siamo osservatori silenziosi
e rispettosi di quanto accade. Jean Claude Carrière, si siede accanto a me,
come fantasma di un’opera che si sta creando sotto i miei occhi, fra tanti
altri occhi, mani, respiri, piedi, persone che diventano miei compagni di
viaggio, complice segreto di ogni silenzio o parola, gesto o seduzione, postura
o espressione che ci circonda. Siamo vivi e siamo in compagnia di vivi e morti,
siamo assorti in continui risvegli, il tempo è una dimensione elastica, ritorna
ad ogni sensazione, si sprigiona dalle viscere della terra fino ad esalare
attraverso le venature del legno per farsi sospiro, attrito e distanza, passo e
costanza. Assume forme geometriche di un assolo che in prosaici atti di vita
quotidiana ricrea l’ensemble, lì sotto gli occhi dell’autore, sotto i piedi di
un Attore che ci invita, evocando i continenti e tutti i cammini che li hanno
attraversati, a compiere un viaggio verso noi stessi: è così che si incontra
l’altro. E penso al gup generazionale, a questa formula in cui stiamo
ingabbiando chilometri di civiltà per allontanarci dalle persone, quando
basterebbe concepire la narrazione come ciò che è sempre stato, il presupposto
di una tradizione, il principio cardine di una realtà che si tramanda. E penso
anche a loro, a tutte le persone sorde verso le quali abbiamo creato un divario
culturale perché, non accedendo alla loro lingua, ne ignoriamo la storia. E penso anche a tutti i Maestri che dalla
nascita ad oggi mi hanno trasmesso conoscenza, e che nella parola e della
parola, ne hanno fatto strumento di percezione della realtà. E mi chiedo
allora, dopo un lavoro intensivo sul linguaggio del corpo, dopo aver acceso un fuoco insieme ai miei
compagni di viaggio e narrato una storia come si faceva una volta, dalla notte
dei tempi, in ogni civiltà e ad ogni latitudine umana: - Qual è il segreto del
mondo? –
Forse il
segreto è solo la vita in tutto il suo mistero.
E il mio
viaggio continua, mi arricchisce di bellezza, sta negli occhi di chi ci
fotografa, Valerio, che di Bagni di Lucca non è ma che a Bagni di Lucca resta
perché in quel luogo è sepolto suo figlio. E mi viene da piangere per tutta la
meraviglia che si nasconde nel legame con la terra, con le radici, con la vita,
con la morte, con il futuro che si fa presente, puro e semplice istante in cui
tutti noi stessi ci trasportiamo da un luogo ad un altro, centimetro dopo
centimetro, ora dopo ora. E così ogni spazio umano diventa un tempo naturale
che asseconda il ciclo del giorno e della notte, un orologio immateriale che
come un diapason accorda i respiri dell’universo. Il segreto del mondo allora,
siamo noi stessi, esseri senzienti senza direzione, zingari distratti con il
peso di domani, angoli sepolti da una briciola di pane che continuano a lottare
per un soffio di vento.
Questo vento
che è, anche quando non si sente, impercettibile suono che dà voce al silenzio,
è, anche quando non si vede.
-
Qual è il segreto del mondo allora? –
-
Il silenzio con cui gli occhi lo ascoltano? –
Grazie Mamadou
Dioume e grazie a tutti, compresa me che
ha camminato verso Te.
martedì 26 luglio 2016
Ritratti. Antonio La Cava, maestro lucano in pensione: sono 17 anni che“allevo futuri lettori” grazie al Bibliomotocarro.
Antonio La Cava, 42 anni
prestati all’insegnamento nella scuola pubblica, come maestro alle elementari
prima e come promotore originale della lettura per i bambini, dopo. Siamo a
Ferrandina, un paese in provincia di Matera, dove grazie alla felice intuizione
del maestro, da ben 17 anni, tutti i bambini, soprattutto quelli “ai margini”,
hanno la possibilità di avere tra le mani un libro: ci ha pensato lui!
Ideatore di una biblioteca
itinerante “a due ruote”, Antonio La Cava, inizialmente girava per il paese di
Ferrandina e poi i piccoli comuni limitrofi, Craco e Salandra, con un
appuntamento fisso, il sabato e la domenica,
per raggiungere la fermata “Bibliomotocarro”. Annunciato dalla musica
popolare, questo maestro di gioia, arrivava a bordo di un Ape 50 per donare
meraviglia e invogliare alla lettura i bambini attraverso il gioco. Lo incontro
per parlare di questo viaggio che attraversa le tappe di un’evoluzione storica
dell’oggetto libro e dell’approccio alla lettura, passaggio, in cui è
preponderante la visione tecnologica dello stesso mezzo di trasmissione dei
contenuti culturali. Un incontro interessante che mi ha portato indietro nel
tempo e lasciato atmosfere magiche e poetiche, catapultandomi nello stesso
spazio-tempo in cui si delineava il passaggio dalla Radio alla TV. E come per
la radio è stato rassicurante per me scoprire che il libro “non morirà” mai, finchè
esisteranno persone di passione e impegno che, come il nostro maestro Antonio
La Cava, si reinventano costruttori di contesti “normalmente”surreali, interpretando
il senso del moderno in chiave contemporanea.
· - Maestro La Cava come comincia questo viaggio e
quanto della sua stravagante iniziativa è dovuto alla sua professione di
maestro? -
“Ho insegnato a scuola per
ben 42 anni, sono in pensione da sei anni, sempre a Ferrandina, fondamentalmente,
poi a Craco, Salandra montagnola per un
breve periodo e ad Altamura(Ba) per scambio di sede con mia moglie, maestra come me.
Il bibliomotocarro è nato
mentre stavo a scuola, era il ’99 e si cominciava a porre un problema:
l’affievolimento del rapporto tra il mondo della lettura e i bambini, si
cominciava a parlare dell’introduzione di altri mezzi tecnologici, il pc, il
tablet…Ebbi questa felice intuizione, il cui valore aggiunto credo risieda nel fatto
che io sia un maestro, è per questo che acquista maggiore credibilità e una
forza in più. Ho sempre creduto all’idea della scuola viggiante, si apprende
fuori le mura, l’uso didattico del territorio è sempre stata una delle mie
prerogative, unite al fatto che la passione per la lettura, il fascino del
rapporto con l’oggetto libro non si possa trasmettere a scuola come un
imperativo. Come dice lo scrittore Pennac: “Il verbo leggere non ammette
imperativo”, ecco sono stato sempre di quest’idea: la lettura va stimolata
attraverso un approccio diverso, come se fosse un gioco e, dopo la scuola, il
bambino dove dovrebbe trovare altri modelli che possano suscitarla? A
casa…Eppure non sempre è così. Ecco perché da primo viaggio in Ape 50 oggi il
mezzo che adotto è un ApeCar a forma di casa, la biblioteca richiama richiama
nella sua formula anche la forma visivo-concettuale…Sapeste come i bambini
restano incantati all’interno della casetta itinerante, dove trovano il luogo
in cui poter leggere anche in modo moderno…
· - Dalle
“due ruote” lei è passato all’ApeCar, e intanto dal ’99 ad oggi la tecnologia è
entrata a far parte del nostro quotidiano, con una velocità inaspettata: lei
invece continua a scegliere la lentezza per essere moderno?-
“Sono 17 anni che “allevo
futuri lettori” e questo strumento ha oggi un grande merito: quello di sapersi innovare rimanendo se
stesso. Gli elementi distintivi rimangono sempre gli stessi: l’umiltà del mezzo, la semplicità della
proposta e la lentezza. Viaggio ad una velocità di velocità media 35 - 40 km
orari. Eppure non è più solo biblioteca itinerante, ma si è trasformato in un
laboratorio creativo, in un cinema itinerante. Prima arrivavo nelle piazzette
ad una certa ora, indicata sulla fermata del bibliomotocarro e ad accogliermi
c’erano bambini cui davo in prestito i libri e un libro bianco che, a sua volta
a distanza di una settimana quando ripassavo a ritirare i libri e a fare nuova
consegna, si era trasformato a sua volta in uno spazio espressivo di
creatività. Oggi invece la forma è quella di una casetta che arriva, il
richiamo alla lettura è dato anche dall’immagine scelta, la lettura non deve
essere costrittiva, ma costruttiva e così anche il passaggio alle nuove
tecnologie deve essere “filtrato” da quest’ottica: vedete, bambini, potete
usare il tablet, il pc, ma come mezzo indispensabile per tradurre i libri che
leggete in un altro linguaggio, quello visivo. Con questo passaggio si ritorna
al libro, per questo credo che l’oggetto sia insostituibile anche in questa
idea postmoderna in cui l’aggettivo moderno resta aggettivo e non modernità, se
evitiamo questo sbandamento linguistico e associamo l’umanesimo a questa parola
anche il lento peregrinare in Basilicata acquisisce un valore diverso".
· - Quest’avventura
speciale nel mondo della lettura proposta secondo questo magico approccio oggi
viaggia anche oltre il confine della Basilicata: quale Regione è risultata più
ricettiva? -
“Oltre alla Lucania, di cui
ci tengo a dire il bibliomotocarro è il simbolo e lo dico anche quando sono
fuori, la prima Regione in termini di ricettività è la Puglia, per quanto anche
le altre Regioni del Sud come e se possono si attivano per ospitare il
Bibliomotocarro…Il problema è che il patrocinio dell’iniziativa è sempre
gratuito, spesso non hanno neanche il rimborso spese di benzina. Eppure quello
che sto facendo per me è promozione alla lettura, e le scuole non hanno i
soldi, le istituzioni neanche, dico anche le case editrici potrebbero essere
più attente e donare al bibliomotocarro, ne avrebbero il proprio ritorno…Del
resto, dico sempre, e semplicemente, cosa sto facendo: io “allevo futuri lettori”…no?! Sono stato
anche a Salerno attraversando le strade provinciali, perché mi piace mostrarlo,
anche quando la gente lo incontra, si crea il dibattito. Oggi abbiamo capito
tutti che non si può fare a meno del libro: leggere è una cosa gioiosa”.
· - Dove ha preso il primo libro che ha
letto e come sceglie i libri per i bambini? -
“Il primo libro che ho
letto, l’ho preso da un camion, era un bibliobus che svolgeva servizio per il
provveditorato agli studi per provincia di Matera e Potenza, e quest’immagine è
rimasta nella mente di questo ragazzino di 15 anni: portare il libro nei posti
in cui c’è bisogno. I miei genitori erano contadini, vivevo in una casa con una
sola lampadina: quando mia madre spegneva la luce, accendevo la candela e questa
candela ha illuminato la mia passione per la lettura. Il Bibliomotocarro
oggi svolge servizio nelle scuole della provincia e della regione, con attività
annuali calendarizzate e poi in iniziative speciali, a volte magari sono anche
contesti non proprio strutturati, sono sagre, ma anche lì vado lo stesso perché
i libro deve arrivare fino “ai margini”, non lasciamo nessun bambino senza un
libro tra le mani”.
Mi congedo dalla sua
delicatissima voce con la voglia di incontrarlo presto e affidare i libri alle
sue mani!
Nadia
Lisanti
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