Grazie alla giornalista Maria Del rosso per l'intervista al periodico NelMese
A questo indirizzo è possibile leggerla se avete piacere a farlo.
Ringrazio tutte le persone che non hanno temuto di sperimentare nuove strade con me.
Grazie alla redazione del Periodico di cultura NelMese e alla giornalista Maria Del Rosso per l'intervista. Buona lettura a chi avrà piacere di leggerla.
http://www.nelmese.com/2016/09/lisanti-la-poesia-e-un-silenzio-che-si-fa-sentire/
mercoledì 14 settembre 2016
La poesia è un silenzio che si fa sentire
Grazie alla giornalista Maria Del rosso per l'intervista al periodico NelMese
A questo indirizzo è possibile leggerla se avete piacere a farlo.
Ringrazio tutte le persone che non hanno temuto di sperimentare nuove strade con me.
Grazie alla redazione del Periodico di cultura NelMese e alla giornalista Maria Del Rosso per l'intervista. Buona lettura a chi avrà piacere di leggerla.
http://www.nelmese.com/2016/09/lisanti-la-poesia-e-un-silenzio-che-si-fa-sentire/
A questo indirizzo è possibile leggerla se avete piacere a farlo.
Ringrazio tutte le persone che non hanno temuto di sperimentare nuove strade con me.
Grazie alla redazione del Periodico di cultura NelMese e alla giornalista Maria Del Rosso per l'intervista. Buona lettura a chi avrà piacere di leggerla.
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Etichette:
danza popolare,
fondazionevassallo,
gesti,
Lis,
ritmo,
segni,
silenzio
Grazie alla giornalista Maria Del Rosso per l'intervista al periodico NelMese.
A questo indirizzo è possibile leggerla se avete piacere a farlo.
http://www.nelmese.com/2016/09/lisanti-la-poesia-e-un-silenzio-che-si-fa-sentire/
Ringrazio tutte le persone che non hanno temuto di sperimentare nuove strade con me.
https://vimeo.com/108886797
http://www.nelmese.com/2016/09/lisanti-la-poesia-e-un-silenzio-che-si-fa-sentire/
A questo indirizzo è possibile leggerla se avete piacere a farlo.
http://www.nelmese.com/2016/09/lisanti-la-poesia-e-un-silenzio-che-si-fa-sentire/
Ringrazio tutte le persone che non hanno temuto di sperimentare nuove strade con me.
https://vimeo.com/108886797
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fondazionevassallo,
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giovedì 28 luglio 2016
Ritratti. Mamadou Dioume: “Viaggio verso lo sconosciuto” terza tappa dello Stage dal 15 al 20 Marzo a Milano
Foto Andrea Aquilante
Mamadou Dioume attore di fama internazionale si diploma presso l’Istituto Nazionale delle Arti del Senegal (INAS) dove consegue il primo premio “Prix de tragèdie” e interpreta numerosi importanti ruoli. Nel 1968 si fa riconoscere per il ruolo di Creonte nell’Antigone di Jean Anouilh, grazie al quale entra nel Teatro nazionale Daniel Sorano, dove lavora fino al 1984 sotto la direzione di Raymond Hermantier, compagno di Jean Vilar. Nel marzo del 1984 viene notato da Peter Brook che lo invita ad interpretare Bhima, il figlio del vento dalla forza prodigiosa, nel "Mahābhārata", Interpreterà questo ruolo sia in francese sia in inglese durante la tournée teatrale mondiale durata fino al 1988. Dopo il lavoro teatrale, gli viene proposto lo stesso ruolo per la versione cinematografica nel settembre 1988. Continua poi la collaborazione con Peter Brook e a la compagnia CICT, interpretando altre opere, tra le quali “La Tragèdie de Carmen”, “Woza Albert”, “La Tempète”. Ha inoltre diretto numerosi spettacoli nel mondo (in Norvegia, Francia, Africa..) e in Italia (a Torino, Napoli, Firenze, Roma, Bologna..) e preso parte in numerose produzioni cinematografiche tra le quali “The Tempest” di Julie Taymor. Dal 1991 dirige workshop e masterclass per attori in Africa e in tutta Europa arrivando a conseguire le conoscenze per trasmettere la forza delle sue tradizioni agli allievi europei. Ha diretto percorsi di formazione in tutta Italia. Collabora con diverse associazioni in Italia e dirige il Policardia Teatro Centro Di Creazione Internazionale con sede in Versilia.
Solo poche riche per un curriculum che si
esprime in vita attraverso l’esperienza con Mamadou Dioume, riflesso
incondizionato di ciò che profondamente equivale a fare esperienza di se
stessi, sempre che si sia persone aperte a cogliere i semi che ognuno di noi ha
dentro lasciandoli germogliare.
Fuor di metafora nel mezzo dello Stage “Viaggio
verso lo sconosciuto”, un percorso teatrale rivolto ad attori professionisti e
non concepito da Mamadou Dioume, ho la fortuna di incontrarlo:
·
Mamadou Dioume “Viaggio verso lo
sconosciuto”, una percorrenza all’interno di noi stessi e all’interno del testo
seguendo delle tappe e rapportandosi a tre opere scelte, Le Baccanti di
Euripide, Quai Ouest di Bernard-Marie Koltès, Joyzelle di Maurice Maeterlinck…Come si coniuga questo
intreccio esperienziale?
“Le tappe sono necessarie
per metabolizzare un testo…Quando
lavoriamo sulla fretta non viviamo qualcosa. Un’esperienza da vivere è la
verità altrui…La verità che incontriamo spingendoci verso lo sconosciuto, distaccandoci
da tutti i nostri bagagli perché ciò avvenga: non esiste una formula per andare
verso qualcosa ma spingere la persona verso lo sconosciuto amplifica la
conoscenza di quei semi che sono dentro di noi, e che hanno bisogno di tempo
per radicarsi e di esplorazioni per risvegliarsi…
E dobbiamo permettere a
questo tempo di esprimersi, così si cresce, andando oltre…
Il testo è lo sconosciuto,
una verità che non è la nostra ma viene da lontano…Un testo ci nutre ma
dobbiamo focalizzarci sul testo nudi, senza idee preconcette e, ciò di cui
parlo, vive ogni volta che incontro un capolavoro!
Se la persona è attenta, non
in un’analisi cerebrale, se è attenta perché libera dal proprio immaginario
preconcetto, quella persona diventa fertile all’ascolto e il testo comincia ad
esprimersi ad un altro livello di profondità…Lì se ascolti e fai lavorare la
vista percepisci Dante, lì si risveglia
Shakespeare, dandoti altre verità. Questi tre testi li porto con me da
un bel po’, dall’antichità, ci dicono cose che sono essenziali in rapporto alla
vita, noi ci basiamo su ciò che è scritto ma non andiamo mai oltre…
Eppure in un capolavoro c’è
una parte che è visibile e un’altra che è invisibile, come un segreto, e quella
parte ti parla solo se sei disposto a compiere un cammino verso lo sconosciuto,
senza paura: è in quell’esoterico che la conoscenza diventa un nutrimento per
te per gli altri che non puoi esprimere con le parole.”
· Le tappe propedeutiche sono conosciute,
il percorso attraversa le fasi dell’esplorazione del linguaggio del corpo a
partire dalla danza e il canto, passando per l’improvvisazione, in questo
lavoro di “limatura spontanea” che i partecipanti compiono su se stessi,
Mamadou Dioume come riesce a liberare o contenere le energie che durante il
percorso accoglie dagli altri?
“Le persone mi nutrono in
due fasi, la persona mostra il negativo, seguo la persona senza giudicarla,
l’accompagno ad un percorso…Se parlo troppo
faccio parlare la testa, ed è lì che mi si indica chi ha sete e fame ma deve
essere la persona disposta ad ascoltarsi, nel silenzio…Deposito tutto ciò che
mi arriva dalle persone, e poi faccio un’analisi e pulisco, la persona mi
nutre, nell’infinitamente grande che è il quotidiano…Se sei aperto la vedi e
ciò che viene fuori è una meraviglia, un’emozione che non si può spiegare, ma vivere e far vivere…La persona ti guarda e
sorride..”
· Mamadou Dioume è Bhima, il figlio del
vento, dalla forza prodigiosa nel Mahabharata a teatro prima e poi a cinema… Cos’è
la leggerezza e cosa la forza?
“Non ho la forza di cento
elefanti…(e sorride) quella è la storia
umana, è la distruzione, la distruzione è umana.
Tutto ciò che esiste ovunque giace dentro…
Mi allontano da questi
concetti, l’aria l’abbiamo come elemento, la leggerezza la ritroviamo in un cantastorie
e umanamente quella storia ci nutre perché andiamo verso una grande fantasia.
Nel 1985 quando siamo andati
in India uno dei saggi mi disse: “tu sei Bhima”, ma io ho il ruolo, mi sussurra
delle cose, mi accompagna e pian piano scopro
dei collegamenti in rapporto alle mie tradizioni, perché tutte le cose
che esistono sono delle cose umane…L’esperienza che ho vissuto è un’altra cosa,
mi sono sentito posseduto quando recitavo, ero io ma anche qualcosa che mi
sosteneva, una certa forza che non posso spiegare.
In India tu non puoi mai
dire perché, come, sappi ascoltare, qualcosa ti tocca e percepiamo l’essere:
recitare è condividere…Condivido con me, nutro la persona perché quella persona
è un terreno fertile, è essenza umana, nessuno stile”.
· Lo stage è concepito a tappe e con una
certa autonomia interna, si rivolge ad attori professionisti e non: che cos’è
l’umanità per te e come si radica in te stesso?
“L’umanità mi attraversa, mi
nutre.
Se divento arido qualcosa
non va è come se non ascoltassi quello che mi interessa, no?
E questo accade quando la
distinzione tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere persiste, perché
guardare non è ancora vedere.
Ma la vera umanità è la riconquista dell’infanzia, è:
“ora so ciò che ho saputo quando ero bambino”, è l’apertura totale,
incondizionata. L’amore colpisce tutti, l’amore non ha colore. Bene.
Recentemente ho incontrato l’umanità in un Tempio a Parma e poi in un anziano a
Roma che incontro sempre e l’ultima volta mi ha detto “Sorriditi”…”
Grazie
Mamadou Dioume
Nadia
Lisanti
- Qual è il segreto del mondo? -
foto Valerio Ceccarelli, sovraiscrizione Nadia
Siamo in
Garfagnana, terra a me sconosciuta, e per la precisione a Bagni di Lucca. Il
primo “peccato” è proprio questo e la gente del posto mi accoglie facendomelo
notare con un detto popolare che, ora non ricordo a memoria, ma il cui senso è
questo: “ Avrai visto Pisa e Venezia, Torino, Napoli e Firenze ma se te non hai
visto Bagni di Lucca, te non hai visto niente”. Son finita in questo magico
luogo per incontrare una persona meravigliosa: Mamadou Dioume. E così mi sono
iscritta al workshop Cammini organizzato dal Centro Internazionale di Teatro
Policardia con il Comune e la Proloco di Bagni di Lucca.
Unico contatto
prima di arrivare un certo Roberto Corso, che si è occupato delle comunicazioni
da diffondere attraverso il social e dell’accoglienza insieme a Valerio
Ceccarelli, presidente della proloco. E così per riabbracciare Mamadou mi sono
messa in cammino dalla Basilicata, ho coinvolto la mia clown preferita Mary e
con lei son partita alla volta di questa esplorazione. Materiale necessario al
workshop, tre palline da tennis, un tappetino da campeggio, abbigliamento
comodo, un bastone di legno e il libro di J. C. Carrière Il segreto del mondo. Il viaggio con i regionali delle Ferrovie
dello Stato da Picerno (PZ) a Bagni di Lucca dura quasi dieci ore e le abbiamo
percorse tutte per trovarci lì a meno un quarto d’ora dall’inizio del lavoro.
La prima cosa che ho sperimentato e percepito, prima di abbracciare Mamadou, è
dunque questa: la Basilicata è più terza del terzo mondo come scriveva il
bambino del libro di Marcello Orta*, sì, ma è pur vero che il tempo è una
dimensione elastica e l’attesa di un incontro importante mi ha fatto percepire
la distanza dimezzata, mi son sembrate cinque ore di viaggio, non di più.
Arrivata a Bagni di Lucca con un passaggio in auto dalle ragazze iscritte allo
stesso workshop, scendiamo dall’auto ed ecco, materializzarsi in carne ed ossa,
il profilo di Facebook: Roberto Corso. Ci accompagna, gentilmente, all’Hotel
Europa e ci indica il percorso che dovremmo fare a ritroso per raggiungere il
circolo dei Forestieri dove si terrà l’esperienza di tre giorni con Mamadou
Dioume. Il tre Gennaio, atmosfera intorno è quella natalizia, il borgo ha luci
accese e angoli pittoreschi, somiglia tanto ad una location cinematografica
senza cameraman che girano. Saranno andati tutti a riposare e sono le 17:45?
Lavorano di notte come Mamadou?Questo è il segreto del mondo?!
Affrettiamo il
passo e siamo davanti al Circolo dei Forestieri, realizzo avvicinandomi che
quell’altezza è Mamadou Dioume, corro verso di lui e faccio per abbracciarlo a
mo’di Nadia, lanciandomi al collo ma Mamadou mi ferma, donandomi la sua
estraneità: - Sono all’antica Nadia, sono io che mi porgo verso la donna – Rewind. Tutto da rifare ma è così che ci si
abbraccia incontrando un’altra cultura, così che ci si conosce, da un gesto, il
primo, quello più spontaneo per me quando voglio bene a qualcuno.
E io a Mamadou
voglio un gran bene. Dopo una dissolvenza su questo piano relazionale, ad
abbraccio sciolto ho il piacere di stringere la mano di Andrea Elodie Moretti,
direttore del Policardia e a Valentina, compagna di Mamadou. Stessa sorte tocca
a Mary come in ogni rito che si rispetti. Si parte, via, si entra nella Sala
Rosa del Circolo e si è rapiti dal lavoro di Mamadou con un gruppo di
adolescenti. Le prime due ore ci coinvolgono così, siamo osservatori silenziosi
e rispettosi di quanto accade. Jean Claude Carrière, si siede accanto a me,
come fantasma di un’opera che si sta creando sotto i miei occhi, fra tanti
altri occhi, mani, respiri, piedi, persone che diventano miei compagni di
viaggio, complice segreto di ogni silenzio o parola, gesto o seduzione, postura
o espressione che ci circonda. Siamo vivi e siamo in compagnia di vivi e morti,
siamo assorti in continui risvegli, il tempo è una dimensione elastica, ritorna
ad ogni sensazione, si sprigiona dalle viscere della terra fino ad esalare
attraverso le venature del legno per farsi sospiro, attrito e distanza, passo e
costanza. Assume forme geometriche di un assolo che in prosaici atti di vita
quotidiana ricrea l’ensemble, lì sotto gli occhi dell’autore, sotto i piedi di
un Attore che ci invita, evocando i continenti e tutti i cammini che li hanno
attraversati, a compiere un viaggio verso noi stessi: è così che si incontra
l’altro. E penso al gup generazionale, a questa formula in cui stiamo
ingabbiando chilometri di civiltà per allontanarci dalle persone, quando
basterebbe concepire la narrazione come ciò che è sempre stato, il presupposto
di una tradizione, il principio cardine di una realtà che si tramanda. E penso
anche a loro, a tutte le persone sorde verso le quali abbiamo creato un divario
culturale perché, non accedendo alla loro lingua, ne ignoriamo la storia. E penso anche a tutti i Maestri che dalla
nascita ad oggi mi hanno trasmesso conoscenza, e che nella parola e della
parola, ne hanno fatto strumento di percezione della realtà. E mi chiedo
allora, dopo un lavoro intensivo sul linguaggio del corpo, dopo aver acceso un fuoco insieme ai miei
compagni di viaggio e narrato una storia come si faceva una volta, dalla notte
dei tempi, in ogni civiltà e ad ogni latitudine umana: - Qual è il segreto del
mondo? –
Forse il
segreto è solo la vita in tutto il suo mistero.
E il mio
viaggio continua, mi arricchisce di bellezza, sta negli occhi di chi ci
fotografa, Valerio, che di Bagni di Lucca non è ma che a Bagni di Lucca resta
perché in quel luogo è sepolto suo figlio. E mi viene da piangere per tutta la
meraviglia che si nasconde nel legame con la terra, con le radici, con la vita,
con la morte, con il futuro che si fa presente, puro e semplice istante in cui
tutti noi stessi ci trasportiamo da un luogo ad un altro, centimetro dopo
centimetro, ora dopo ora. E così ogni spazio umano diventa un tempo naturale
che asseconda il ciclo del giorno e della notte, un orologio immateriale che
come un diapason accorda i respiri dell’universo. Il segreto del mondo allora,
siamo noi stessi, esseri senzienti senza direzione, zingari distratti con il
peso di domani, angoli sepolti da una briciola di pane che continuano a lottare
per un soffio di vento.
Questo vento
che è, anche quando non si sente, impercettibile suono che dà voce al silenzio,
è, anche quando non si vede.
-
Qual è il segreto del mondo allora? –
-
Il silenzio con cui gli occhi lo ascoltano? –
Grazie Mamadou
Dioume e grazie a tutti, compresa me che
ha camminato verso Te.
- Qual è il segreto del mondo? -
foto Valerio Ceccarelli, sovraiscrizione Nadia
Siamo in
Garfagnana, terra a me sconosciuta, e per la precisione a Bagni di Lucca. Il
primo “peccato” è proprio questo e la gente del posto mi accoglie facendomelo
notare con un detto popolare che, ora non ricordo a memoria, ma il cui senso è
questo: “ Avrai visto Pisa e Venezia, Torino, Napoli e Firenze ma se te non hai
visto Bagni di Lucca, te non hai visto niente”. Son finita in questo magico
luogo per incontrare una persona meravigliosa: Mamadou Dioume. E così mi sono
iscritta al workshop Cammini organizzato dal Centro Internazionale di Teatro
Policardia con il Comune e la Proloco di Bagni di Lucca.
Unico contatto
prima di arrivare un certo Roberto Corso, che si è occupato delle comunicazioni
da diffondere attraverso il social e dell’accoglienza insieme a Valerio
Ceccarelli, presidente della proloco. E così per riabbracciare Mamadou mi sono
messa in cammino dalla Basilicata, ho coinvolto la mia clown preferita Mary e
con lei son partita alla volta di questa esplorazione. Materiale necessario al
workshop, tre palline da tennis, un tappetino da campeggio, abbigliamento
comodo, un bastone di legno e il libro di J. C. Carrière Il segreto del mondo. Il viaggio con i regionali delle Ferrovie
dello Stato da Picerno (PZ) a Bagni di Lucca dura quasi dieci ore e le abbiamo
percorse tutte per trovarci lì a meno un quarto d’ora dall’inizio del lavoro.
La prima cosa che ho sperimentato e percepito, prima di abbracciare Mamadou, è
dunque questa: la Basilicata è più terza del terzo mondo come scriveva il
bambino del libro di Marcello Orta*, sì, ma è pur vero che il tempo è una
dimensione elastica e l’attesa di un incontro importante mi ha fatto percepire
la distanza dimezzata, mi son sembrate cinque ore di viaggio, non di più.
Arrivata a Bagni di Lucca con un passaggio in auto dalle ragazze iscritte allo
stesso workshop, scendiamo dall’auto ed ecco, materializzarsi in carne ed ossa,
il profilo di Facebook: Roberto Corso. Ci accompagna, gentilmente, all’Hotel
Europa e ci indica il percorso che dovremmo fare a ritroso per raggiungere il
circolo dei Forestieri dove si terrà l’esperienza di tre giorni con Mamadou
Dioume. Il tre Gennaio, atmosfera intorno è quella natalizia, il borgo ha luci
accese e angoli pittoreschi, somiglia tanto ad una location cinematografica
senza cameraman che girano. Saranno andati tutti a riposare e sono le 17:45?
Lavorano di notte come Mamadou?Questo è il segreto del mondo?!
Affrettiamo il
passo e siamo davanti al Circolo dei Forestieri, realizzo avvicinandomi che
quell’altezza è Mamadou Dioume, corro verso di lui e faccio per abbracciarlo a
mo’di Nadia, lanciandomi al collo ma Mamadou mi ferma, donandomi la sua
estraneità: - Sono all’antica Nadia, sono io che mi porgo verso la donna – Rewind. Tutto da rifare ma è così che ci si
abbraccia incontrando un’altra cultura, così che ci si conosce, da un gesto, il
primo, quello più spontaneo per me quando voglio bene a qualcuno.
E io a Mamadou
voglio un gran bene. Dopo una dissolvenza su questo piano relazionale, ad
abbraccio sciolto ho il piacere di stringere la mano di Andrea Elodie Moretti,
direttore del Policardia e a Valentina, compagna di Mamadou. Stessa sorte tocca
a Mary come in ogni rito che si rispetti. Si parte, via, si entra nella Sala
Rosa del Circolo e si è rapiti dal lavoro di Mamadou con un gruppo di
adolescenti. Le prime due ore ci coinvolgono così, siamo osservatori silenziosi
e rispettosi di quanto accade. Jean Claude Carrière, si siede accanto a me,
come fantasma di un’opera che si sta creando sotto i miei occhi, fra tanti
altri occhi, mani, respiri, piedi, persone che diventano miei compagni di
viaggio, complice segreto di ogni silenzio o parola, gesto o seduzione, postura
o espressione che ci circonda. Siamo vivi e siamo in compagnia di vivi e morti,
siamo assorti in continui risvegli, il tempo è una dimensione elastica, ritorna
ad ogni sensazione, si sprigiona dalle viscere della terra fino ad esalare
attraverso le venature del legno per farsi sospiro, attrito e distanza, passo e
costanza. Assume forme geometriche di un assolo che in prosaici atti di vita
quotidiana ricrea l’ensemble, lì sotto gli occhi dell’autore, sotto i piedi di
un Attore che ci invita, evocando i continenti e tutti i cammini che li hanno
attraversati, a compiere un viaggio verso noi stessi: è così che si incontra
l’altro. E penso al gup generazionale, a questa formula in cui stiamo
ingabbiando chilometri di civiltà per allontanarci dalle persone, quando
basterebbe concepire la narrazione come ciò che è sempre stato, il presupposto
di una tradizione, il principio cardine di una realtà che si tramanda. E penso
anche a loro, a tutte le persone sorde verso le quali abbiamo creato un divario
culturale perché, non accedendo alla loro lingua, ne ignoriamo la storia. E penso anche a tutti i Maestri che dalla
nascita ad oggi mi hanno trasmesso conoscenza, e che nella parola e della
parola, ne hanno fatto strumento di percezione della realtà. E mi chiedo
allora, dopo un lavoro intensivo sul linguaggio del corpo, dopo aver acceso un fuoco insieme ai miei
compagni di viaggio e narrato una storia come si faceva una volta, dalla notte
dei tempi, in ogni civiltà e ad ogni latitudine umana: - Qual è il segreto del
mondo? –
Forse il
segreto è solo la vita in tutto il suo mistero.
E il mio
viaggio continua, mi arricchisce di bellezza, sta negli occhi di chi ci
fotografa, Valerio, che di Bagni di Lucca non è ma che a Bagni di Lucca resta
perché in quel luogo è sepolto suo figlio. E mi viene da piangere per tutta la
meraviglia che si nasconde nel legame con la terra, con le radici, con la vita,
con la morte, con il futuro che si fa presente, puro e semplice istante in cui
tutti noi stessi ci trasportiamo da un luogo ad un altro, centimetro dopo
centimetro, ora dopo ora. E così ogni spazio umano diventa un tempo naturale
che asseconda il ciclo del giorno e della notte, un orologio immateriale che
come un diapason accorda i respiri dell’universo. Il segreto del mondo allora,
siamo noi stessi, esseri senzienti senza direzione, zingari distratti con il
peso di domani, angoli sepolti da una briciola di pane che continuano a lottare
per un soffio di vento.
Questo vento
che è, anche quando non si sente, impercettibile suono che dà voce al silenzio,
è, anche quando non si vede.
-
Qual è il segreto del mondo allora? –
-
Il silenzio con cui gli occhi lo ascoltano? –
Grazie Mamadou
Dioume e grazie a tutti, compresa me che
ha camminato verso Te.
martedì 26 luglio 2016
Ritratti. Antonio La Cava, maestro lucano in pensione: sono 17 anni che“allevo futuri lettori” grazie al Bibliomotocarro.
Antonio La Cava, 42 anni
prestati all’insegnamento nella scuola pubblica, come maestro alle elementari
prima e come promotore originale della lettura per i bambini, dopo. Siamo a
Ferrandina, un paese in provincia di Matera, dove grazie alla felice intuizione
del maestro, da ben 17 anni, tutti i bambini, soprattutto quelli “ai margini”,
hanno la possibilità di avere tra le mani un libro: ci ha pensato lui!
Ideatore di una biblioteca
itinerante “a due ruote”, Antonio La Cava, inizialmente girava per il paese di
Ferrandina e poi i piccoli comuni limitrofi, Craco e Salandra, con un
appuntamento fisso, il sabato e la domenica,
per raggiungere la fermata “Bibliomotocarro”. Annunciato dalla musica
popolare, questo maestro di gioia, arrivava a bordo di un Ape 50 per donare
meraviglia e invogliare alla lettura i bambini attraverso il gioco. Lo incontro
per parlare di questo viaggio che attraversa le tappe di un’evoluzione storica
dell’oggetto libro e dell’approccio alla lettura, passaggio, in cui è
preponderante la visione tecnologica dello stesso mezzo di trasmissione dei
contenuti culturali. Un incontro interessante che mi ha portato indietro nel
tempo e lasciato atmosfere magiche e poetiche, catapultandomi nello stesso
spazio-tempo in cui si delineava il passaggio dalla Radio alla TV. E come per
la radio è stato rassicurante per me scoprire che il libro “non morirà” mai, finchè
esisteranno persone di passione e impegno che, come il nostro maestro Antonio
La Cava, si reinventano costruttori di contesti “normalmente”surreali, interpretando
il senso del moderno in chiave contemporanea.
· - Maestro La Cava come comincia questo viaggio e
quanto della sua stravagante iniziativa è dovuto alla sua professione di
maestro? -
“Ho insegnato a scuola per
ben 42 anni, sono in pensione da sei anni, sempre a Ferrandina, fondamentalmente,
poi a Craco, Salandra montagnola per un
breve periodo e ad Altamura(Ba) per scambio di sede con mia moglie, maestra come me.
Il bibliomotocarro è nato
mentre stavo a scuola, era il ’99 e si cominciava a porre un problema:
l’affievolimento del rapporto tra il mondo della lettura e i bambini, si
cominciava a parlare dell’introduzione di altri mezzi tecnologici, il pc, il
tablet…Ebbi questa felice intuizione, il cui valore aggiunto credo risieda nel fatto
che io sia un maestro, è per questo che acquista maggiore credibilità e una
forza in più. Ho sempre creduto all’idea della scuola viggiante, si apprende
fuori le mura, l’uso didattico del territorio è sempre stata una delle mie
prerogative, unite al fatto che la passione per la lettura, il fascino del
rapporto con l’oggetto libro non si possa trasmettere a scuola come un
imperativo. Come dice lo scrittore Pennac: “Il verbo leggere non ammette
imperativo”, ecco sono stato sempre di quest’idea: la lettura va stimolata
attraverso un approccio diverso, come se fosse un gioco e, dopo la scuola, il
bambino dove dovrebbe trovare altri modelli che possano suscitarla? A
casa…Eppure non sempre è così. Ecco perché da primo viaggio in Ape 50 oggi il
mezzo che adotto è un ApeCar a forma di casa, la biblioteca richiama richiama
nella sua formula anche la forma visivo-concettuale…Sapeste come i bambini
restano incantati all’interno della casetta itinerante, dove trovano il luogo
in cui poter leggere anche in modo moderno…
· - Dalle
“due ruote” lei è passato all’ApeCar, e intanto dal ’99 ad oggi la tecnologia è
entrata a far parte del nostro quotidiano, con una velocità inaspettata: lei
invece continua a scegliere la lentezza per essere moderno?-
“Sono 17 anni che “allevo
futuri lettori” e questo strumento ha oggi un grande merito: quello di sapersi innovare rimanendo se
stesso. Gli elementi distintivi rimangono sempre gli stessi: l’umiltà del mezzo, la semplicità della
proposta e la lentezza. Viaggio ad una velocità di velocità media 35 - 40 km
orari. Eppure non è più solo biblioteca itinerante, ma si è trasformato in un
laboratorio creativo, in un cinema itinerante. Prima arrivavo nelle piazzette
ad una certa ora, indicata sulla fermata del bibliomotocarro e ad accogliermi
c’erano bambini cui davo in prestito i libri e un libro bianco che, a sua volta
a distanza di una settimana quando ripassavo a ritirare i libri e a fare nuova
consegna, si era trasformato a sua volta in uno spazio espressivo di
creatività. Oggi invece la forma è quella di una casetta che arriva, il
richiamo alla lettura è dato anche dall’immagine scelta, la lettura non deve
essere costrittiva, ma costruttiva e così anche il passaggio alle nuove
tecnologie deve essere “filtrato” da quest’ottica: vedete, bambini, potete
usare il tablet, il pc, ma come mezzo indispensabile per tradurre i libri che
leggete in un altro linguaggio, quello visivo. Con questo passaggio si ritorna
al libro, per questo credo che l’oggetto sia insostituibile anche in questa
idea postmoderna in cui l’aggettivo moderno resta aggettivo e non modernità, se
evitiamo questo sbandamento linguistico e associamo l’umanesimo a questa parola
anche il lento peregrinare in Basilicata acquisisce un valore diverso".
· - Quest’avventura
speciale nel mondo della lettura proposta secondo questo magico approccio oggi
viaggia anche oltre il confine della Basilicata: quale Regione è risultata più
ricettiva? -
“Oltre alla Lucania, di cui
ci tengo a dire il bibliomotocarro è il simbolo e lo dico anche quando sono
fuori, la prima Regione in termini di ricettività è la Puglia, per quanto anche
le altre Regioni del Sud come e se possono si attivano per ospitare il
Bibliomotocarro…Il problema è che il patrocinio dell’iniziativa è sempre
gratuito, spesso non hanno neanche il rimborso spese di benzina. Eppure quello
che sto facendo per me è promozione alla lettura, e le scuole non hanno i
soldi, le istituzioni neanche, dico anche le case editrici potrebbero essere
più attente e donare al bibliomotocarro, ne avrebbero il proprio ritorno…Del
resto, dico sempre, e semplicemente, cosa sto facendo: io “allevo futuri lettori”…no?! Sono stato
anche a Salerno attraversando le strade provinciali, perché mi piace mostrarlo,
anche quando la gente lo incontra, si crea il dibattito. Oggi abbiamo capito
tutti che non si può fare a meno del libro: leggere è una cosa gioiosa”.
· - Dove ha preso il primo libro che ha
letto e come sceglie i libri per i bambini? -
“Il primo libro che ho
letto, l’ho preso da un camion, era un bibliobus che svolgeva servizio per il
provveditorato agli studi per provincia di Matera e Potenza, e quest’immagine è
rimasta nella mente di questo ragazzino di 15 anni: portare il libro nei posti
in cui c’è bisogno. I miei genitori erano contadini, vivevo in una casa con una
sola lampadina: quando mia madre spegneva la luce, accendevo la candela e questa
candela ha illuminato la mia passione per la lettura. Il Bibliomotocarro
oggi svolge servizio nelle scuole della provincia e della regione, con attività
annuali calendarizzate e poi in iniziative speciali, a volte magari sono anche
contesti non proprio strutturati, sono sagre, ma anche lì vado lo stesso perché
i libro deve arrivare fino “ai margini”, non lasciamo nessun bambino senza un
libro tra le mani”.
Mi congedo dalla sua
delicatissima voce con la voglia di incontrarlo presto e affidare i libri alle
sue mani!
Nadia
Lisanti
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Ritratti. AntonioNicolaBruno, dopo “Magic Sound” il prossimo lavoro “Elettronica Popular”: incontro con il musicista poeta del Sud.
Non ha bisogno di presentazioni Antonio Nicola Bruno,
musicista d’eccezione nel panorama della musica d’autore, lo incontriamo prima
dell’uscita del nuovo lavoro “Elettronica Popular” lo incontro “in Fiore di Lucania”, Terra natìa.
· Antonio Nicola Bruno, qual è il primo
strumento o corda che hai suonato e che ricordo hai di quell'esperienza?
“All'età di 5 anni ereditai la mia prima chitarra da mio fratello
Alessandro, che non era interessato allo studio della musica.
Mi arrivò così questa chitarra che aveva sole tre corde, e con questa
iniziai a comporre i miei primi pezzi insieme a Giorgio, mio fratello.
Addirittura registravamo con un registratore geloso a bobina, e iniziammo a
fare molti pezzi che si concludevano sempre con un urlo da stadio ed intervista
che ci scambiavamo. Dopo qualche anno, dopo aver imparato tutti i pezzi dei
dischi che arrivavano a casa, mia madre si convinse che era tempo di farmi
studiare e cosi' cominciai un percorso di studi classici per chitarra durato
all'incirca 6 anni. E comunque continuavo a scrivere e cantare le mie canzoni,
sempre rigorosamente musica rock.”
· La musica che cos'è per te da allora ad
oggi?
“La musica è sempre stata la parte più importante della mia vita. Da sempre
tutte le persone che incontro mi chiedono della mia musica, sentono che stanno
davanti ad un musicista. Non so per quale motivo, ma da quando ne ho ricordo,
la musica è sempre esistita in me, una cosa che sgorga come l'acqua dalla
fonte, non ho il minimo problema nel crearne di nuova, se mi siedo davanti ad
un quaderno, ed oggi davanti ad un computer, un nuovo pezzo sta per nascere.
Mi piace anche molto creare per altri, mi basta un minimo di stimolo per
partire e comporre musica e parole…Ho collaborato ultimamente alla
realizzazione del pezzo Fior di Lucania, che sta andando fortissimo su YouTube,
collaboro con il gruppo salentino dei Petrameridie, gruppo che è stato chiamato
a suonare a Melpignano alla famosissima "notte della taranta" e
stiamo scrivendo insieme a Pietro Cirillo un brano sulla nostra
Basilicata.Ovviamente scrivo e collaboro in molti progetti con Tony Esposito,
con lui ho pubblicato molto materiale, come il pezzo "Danza e
ridanza" che da anni riproponiamo sulle piazze d'Italia e del mondo.
Poi ci sono i miei dischi da solista e in gruppo…”
· Nella tua famiglia siete due musicisti e un pittore,
purtroppo da poco volato in cielo e sei cugino del grande Maestro Infantino
crescere in un clima di confronto "familiare" credi che abbia
determinato le tue scelte artistiche?
“La mia famiglia, soprattutto il ramo degli Infantino di Tricarico, è
una famiglia di artisti, in tutti, anche quelli che fanno altre cose, c'è un
qualcosa che attiene all'arte.
In casa, noi tre fratelli abbiamo costituito una cellula d'Arte, e, insieme
abbiamo creato musica e curato da sempre grafica e fotografia, un gruppo ben
assortito e completato da mia cognata Tiziana, che spesso curava i testi che
poi pubblicavo.
Antonio Infantino è stato determinante per me, per quel che riguarda la
musica popolare, che ho iniziato ad apprezzare e ad amare grazie a lui.
Mi ha ANCHE insegnato tutte le metodologie per giungere ad un buon prodotto
finale, che deve essere curato in ogni suo dettaglio e garantisco, che
per pubblicare un cd intero, è necessario uno sforzo enorme, c'è bisogno di
tante persone, maestranze e tecnici e in cui tutto può' portare fuori strada.
Nella musica, nello stile, nella composizione dei testi, c'è bisogno di
molto lavoro e soprattutto di una chiarezza di intenti, bisogna avere dei
contenuti che possano essere capiti e condivisi dal pubblico.”
· Il tuo percorso di musicista è improntato ad una
ricerca sottile, sei anche autore dei testi, e questa poliedricità farebbe di
te oggi un’artista completo…In realtà non ci si sente mai completi in arte o
sbaglio?
“Ogni autore, mette nella sua arte quello che è.
Se sei una persona colta, profonda non farai mai nulla di sciatto, se credi
nell'Arte, non potrai mai permetterti di scrivere cose commerciali, fatte solo
per il ritorno economico. L'artista poi è in continua evoluzione, non arriva
mai per fortuna, può' solo andare avanti e rendersi conto in un secondo
momento di quello che sta scrivendo, molto spesso i testi sgorgano dalla
quotidianità' e dai momenti della vita, dagli amori, dalle delusioni, dalla
politica e dalla strada, ogni componente, combinata con la sensibilità di un
artista dà vita ad un qualcosa.
Tutti sono degli artisti o potrebbero esserlo e non lo sanno!!
Parlando poi di ricerca, io sono alla ricerca delle mie radici, delle
possibilità future, e di tutto ciò che noi italiani del Sud siamo nel bene e
nel male, leggo moltissimi autori, amo il mondo classico e gli scenari
fantastici, anche psichedelici.
Per fortuna non ci si sente mai completi, fino alla fine ci sarà sempre
qualcosa di nuovo che mi sorprenderà e mi dar nuovi stimoli.”
· Puoi
raccontarci come nasce la musica e come il testo quando sei ispirato
lasciandoci percorrere questo viaggio attraverso il tuo lavoro sin qui e quello
che stai per affrontare?
“Non è facile descrivere il mistero della Creazione e del Creato.
Chi ha figli sa che questi non si scelgono, essi vengono al mondo da soli
ed ognuno di loro avrà un proprio carattere, una propria bellezza ed un proprio
successo nella vita.
Quando nasce una canzone, l'artista ne diventa padre, potrà proteggerla,
curarla, ma lei da sola avrà una personalità ben definita, questo mistero,
quello della vita, mi si ripropone davanti ogni volta che nasce un nuovo pezzo,
ed io, sono un patriarca, ho moltissimi figli e li amo ed odio tutti!!
Certe volte nascono prima i testi, altre volte, i testi iniziano a sgorgare
sulle note o sugli accordi; ho notato, che i miei pezzi migliori, sono nati di
getto, all'improvviso, senza stare a pensarci su, le mie cose più semplici,
sono quelle che il pubblico apprezza di più.
· Hai suonato con il grande jazzista James.
Senese e con Pino Daniele, nel panorama musicale oggi quale vuoto ha
lasciato Pino Daniele, il Pino Daniele, di quegli anni?
Sono onorato di essere entrato a fare
parte di quello che nella storia della musica italiana viene definito
neapolitan power. E' stato Tony Esposito che ha creduto nelle mie potenzialità
di autore, di musicista e di cantante, dandomi negli anni sempre più'
spazio. Con lui ho fatto concerti in tutta l'Italia ed in molte parti del mondo
e mi ha fatto incontrare tutti i grandi della musica mi ha fatto apparire in
moltissimi suoi lavori, abbiamo fatto insieme anche molta radio e televisione.
Quando Pino Daniele ci ha chiamato per
fare i famosi concerti del Palapartenope, mi ricordo ne fui felicissimo, per la
prima volta potevo stare insieme a tutti questi grandi. Li ho conosciuti tutti.
Da James Senese a Tullio, Joe amoroso, Rino Zurzolo, Ernesto Vitolo e tanti
altri, da questi concerti è nata l'idea di farne un libro,"per rabbia e
per amore" di A. D'Errico (ed.Arcana) che parla appunto del movimento
musicale Neapolitan Power, un libro con interviste di molti di noi autori e
musicisti. Pino Daniele ha incarnato la napoletanità, con parole semplici ha
saputo dipingere la realtà' vissuta dal popolo napoletano.
Contemporaneamente è riuscito ad avvicinare la musica più importante,
soprattutto il rock, il jazz alla musica popolare.
Stessa cosa per James Senese e Franco Del Prete, con "Napoli
centrale" ed Enzo Gragnaniello, lo scugnizzo poeta.
Ognuno di loro è stato per me un maestro, ho cercato
ed ascoltato sempre i loro consigli, ogni cosa che questi mi hanno detto è
stato un pezzo che ho aggiunto al mio percorso musicale. Devo anche aggiungere a
questi grandi nomi anche quello di Tony Cercola, che mi ha fatto veramente
conoscere moltissimi musicisti napoletani e per lui ho scritto "stelle
d'oro" presente nel suo cd voci scomposte.”
· Direttore Musicale, in questo ruolo cos'hai scoperto
dell'uomo e cosa dell'artista?
“Mi è capitato spesso di fare il direttore musicale, ad esempio con
i Tarantolati di Tricarico o con il gruppo salentino dei Petrameridie.
Spesso questo ruolo non è facile, bisogna accontentare i committenti, i
musicisti e le aspettative di tutti quelli che ruotano attorno ad un progetto.
Molto spesso quindi in questo ruolo è più l'uomo che comanda che non
l'artista, certe volte c'è anche bisogno di una certa fermezza e quindi di
chiarezza di idee, altrimenti non si riesce a mettere in piedi uno spettacolo
fatto bene, e c'è bisogno soprattutto di autorevolezza per poter poi risolvere
tutta una serie di problematiche che certamente si troveranno sul cammino di un
gruppo. Più' il gruppo è grande e più questo mestiere è difficile.
Ovviamente c'è la componente artistica di composizione, arrangiamento e
quello di creare un suono, che sia il marchio del gruppo, e. ogni gruppo ha le
sue particolari peculiarità.
Diverso era il lavoro con i Bellitamburi, dove c'era una grande unità di
intenti e dove spesso mi confrontavo con mio Fratello Giorgio, che ha il potere
di capire se un pezzo funziona o no, e questo mi è stato sempre di grande
aiuto.”
· Come si affrontano le logiche di mercato che obbligano
a determinati percorsi artistici quando si è scelto di non essere artista
commerciale?
“Il mercato purtroppo comanda e a tutti i livelli. Ovviamente sono
necessarie delle vere e proprie strategie, ed è sempre importante vendere il
proprio prodotto e rivolgersi alle persone giuste.
Non avrebbe senso ad esempio, cercare di vendere musica etnica o musica
industrial a clienti che cercano musica pop, o a Sanremo, bisogna individuare
degli obbiettivi possibili, fare delle vere e proprie ricerche sul cosa e a chi
proporre.
Io ho amato sempre la musica di qualità, e cerco di rivolgermi sempre ad
artisti o ad operatori di settore che si occupano di quello che anche a me
interessa comunicare. Poi gli ingredienti di storie di successo sono
molteplici, quindi le risposte possono cambiare notevolmente da produzione a
produzione...”
· Con chi vorresti condividere i tuoi
silenzi? Nella tua musica scorre sangue e rabbia, dolcezza e sogno, ritmi
ancestrali e presenti: che cos'è per te l'armonia?
“La musica è la mia voce, il modo di farmi sentire, di far conoscere al
mondo i miei pensieri, il mio credo politico, il mio modo di percepire gli
altri, il mio modo di amare, ed anche i miei silenzi.
Per ottenere questo, c'è bisogno di grande ricerca e di grande disciplina,
c'è bisogno di studio e di approfondimento continuo, e non di rado mi capita,
di fare ricerche per poter poi scrivere e parlare di qualcosa.
C'e' bisogno di scrivere in continuazione, di ricercare musica, di
esercitarsi per poterla mettere su un palco, ci sino quindi tante componenti
artistiche e tante componenti artigiane.
L'armonia è un grande mistero, è matematica con l'anima...”
Nadia Lisanti
Nadia Lisanti

Ritratti. L'attore Ettore Bassi: "Quando vesto i panni di Angelo Vassallo mi sento responsabilizzato"
Il lavoro di adattamento
teatrale, la sua trasposizione letteraria in un altro linguaggio, e trattandosi
di monologo soprattutto, non può prescindere da una parola: empatia. L’empatia
è quello spazio sacro all’interno del quale si entra in contatto con le
persone, immedesimandosi, senza provare compassione, in cui si comunica creando
un legame.
Ecco cosa succede quando
Ettore Bassi, attore di indiscussa bravura e professionalità, interpreta Angelo Vassallo il Sindaco di
Pollica ucciso il 5 Settembre del 2010 con 7 colpi di pistola andati a segno,
in un cruento agguato di camorra, mentre rientrava a casa. “Il Sindaco
Pescatore” monologo teatrale scritto da Dario Vassallo ed Edoardo Erba, diretto
da grande regista Enrico Lamanna e firmato dalla “Panart Produzioni” di Michele
Ido torna in scena il 13 Marzo al Teatro Sociale di Fasano e ancora in tour a
seguire: Bitonto, 19 marzo – Massafra, 20 marzo – Polignano, 21 marzo –
Imperia, 2 aprile – Alfonsine, 3 aprile – Lucera, 5 aprile – Nardò, 6 aprile -
Lecce 7 aprile – Grottaglie, 8 aprile – Adelfia, 10 aprile - Manfredonia, 18
aprile.
Incontro Ettore Bassi, che
in questo magnifico lavoro ci restituisce tutta la valenza esemplare della
figura di Angelo Vassallo:
•
Vestire i panni di Angelo Vassallo, una scelta che arriva nella tua vita
attraverso quale canale?
“Sono stato io stesso ad
interessarmi alla figura di Angelo Vassallo, dopo aver seguito il lavoro che la
Fondazione Vassallo porta avanti, mi sono messo in contatto con Dario Vassallo,
il fratello di Angelo, cui è sembrata una buona idea l’adattamento teatrale
sotto forma di monologo…Ed ero contento che avesse accettato”.
•
Non avevi conosciuto in vita Angelo Vassallo?
“Non ho avuto quest’onore,
no.
•
Sei attore professionista, nella tua vita ti sei misurato sia col cinema che
con il teatro, in ruoli di personalità di una certa levatura morale e
spirituale, come San Francesco per esempio…La trasposizione teatrale è stata
una scelta mirata? Come hai costruito il personaggio?
“Benchè il cinema da un certo
punto di vista possa essere più vario, si possono raccontare per immagini
situazioni diverse è vero, ma nel suo codice di comunicazione difetta per
approfondimento. Il monologo teatrale, per forma e punto di vista della
narrazione, riesce a riportare il vero senso emozionale e partecipativo della
figura del Sindaco Pescatore. Non sono un imitatore, e per indossare i panni di
Angelo Vassallo, ho sicuramente attinto da uomo del Sud a quel bagaglio che mi
porto dentro, anche nel restituirgli voce “dialettale” voglio dire…Sono stato
ad Acciaroli a cercare le atmosfere del paese, ho camminato per quelle strade,
mi sono confrontato con le persone, mi sono trasportato fisicamente all’interno
dei luoghi vissuti da Angelo Vassallo per diventare lo strumento culturale
attraverso cui veicolare la conoscenza della sua figura anche nelle scuole,
soprattutto per lasciare quel passaggio di testimone importante per le
generazioni future. In scena mi contorno di un gruppo di ragazzi, ogni volta
diversi, proprio perché avvenga questo
passaggio di consegna, perché colgano l’eredità del messaggio di Angelo
Vassallo”.
•
Lo spettacolo ritorna al Teatro Sociale di Fasano dove ha debuttato l'anno
scorso, sintomo di una crescente attenzione...Ti piacerebbe che questa storia
diventasse accessibile anche al mondo delle persone sorde?
“Mi auguro che lo spettacolo
sia sempre più accolto in teatro, che abbia sempre più diffusione…Certo!Non ci ho
mai pensato, alla traduzione in lingua dei segni italiana dello spettacolo ma
sarei aperto a fare questo esperimento. Si potrebbe realizzare con una formula
di contaminazione dei linguaggi. Il pubblico dello spettacolo finora incontrato
è trasversale, proprio per la forza “adattativa” della scrittura: in scena al
teatro e in matinée”.
•
Quale credi sia la forza di un Sindaco, che oggi siede al fianco di martiri o
eroi o piuttosto Uomini, semplici uomini al servizio delle istituzioni come
G.Falcone, P. Borsellino, P.Impastato e cosa provi quando diventi Angelo
Vassallo?
“Angelo Vassallo fa
riflettere sulla forza morale della vita, su come seguire un certo percorso
rispondendo ad un’etica personale e non oggettiva: ognuno di noi porta nella
realtà una verità, a volte dimentica di esprimerla, Angelo riusciva ad
esprimere verità valide per tutti, lo faceva con la sincerità, e con una giusta
dose di caparbietà. Siamo narcotizzati dall’idea che la burocrazia non si possa
scardinare, Angelo Vassallo, era il portato di una visione alternativa,
dimostrava con la sua volontà che era possibile seguire strade diverse: quando
indosso i suoi panni mi sento responsabilizzato".
•
Quando credi Angelo Vassallo sia morto e quando sia vivo ancora?
“Muore ogni volta che
qualcuno in politica ritorna ad abdicare, con un piccolo gesto, al percorso di
sostegno della moralità del fare e vive ogni volta che lo si ricorda”.
• Un caso ancora aperto, la verità sull’uccisione che non arriva…Hai mai
avuto paura?
“No mai. Io sono
semplicemente il tramite che esiste tra il lavoro della Fondazione e la società
civile…Tenere vive le coscienze delle persone non è contro nessuno”.
La strana sensazione di aver
parlato con l’attore un attimo prima che entri in scena. E di nuovo mi ritorna
la sensazione della forte empatia che lega l’attore Ettore Bassi al Sindaco
Pescatore Angelo Vassallo.
Nadia
Lisanti
lunedì 25 luglio 2016
Ritratti. Nato a Palermo in una famiglia di
persone udenti, Andrea Falanga, Lis Performer per amore di una bambina.
Andrea
Falanga, nasce a Palermo in una famiglia di persone udenti. Dopo gli studi per
diventare Assistente alla Comunicazione LIS (Lingua dei Segni Italiana),
professione in Italia poco conosciuta, al di fuori degli ambienti
specialistici, intraprende la professione artistica con successo e dopo “Il
Notre Dame de Paris in LIS”, opera teatrale della regista e giornalista Laura
Santarelli, affianca la sua arte di Interprete Performer Lis alla figura del
cantante Matteo Setti. Lo incontriamo per dare voce a questo affascinante mondo
silenzioso, cercando di interpretare il senso, non comune, di una vicinanza
alla cultura Sorda:
·
Andrea
Falanga come nasce la tua storia di attore, Interprete LIS, LIS Performer?
“Tutto
ebbe inizio grazie a lei, la bimba che conobbi e che sarebbe poi diventata mia
moglie, Aida Catalano, lei che aveva alle spalle generazioni di sordi, una madre
sorda e un padre udente. La LIS, a quel punto, mi scorre come il sangue nelle
vene, diventa di fatto la mia seconda lingua. Le mie tecniche si raffinano
sempre di più quando comincio a frequentare riunioni religiose, dedicate a persone sorde, in
cui mi presto come interprete volontario.
Nel
2007 Andrea decido di intraprendere i corsi di formazione di 1° e 2° livello e,
nel 2008, di 3° livello di Assistente alla Comunicazione, per poter così
lavorare nelle scuole. Il profilo è ormai tracciato, inizio il percorso
formativo. Entro a far parte di una cooperativa affiliata all'ENS di Palermo a
titolo di Assistente alla Comunicazione e Accompagnatore-Autista per il
servizio pomeridiano.”
L’obiettivo rimane costante, migliorarsi e
crescere, definire con qualità il proprio potenziale per poter diventare un interprete.
Ma la strada è in salita…Cosa succede a questo punto?
“Le
occasioni scarseggiano ma è vietato arrendersi!Finchè nel 2013 decido di
frequentare il corso dell'AES - Accademia Europea Sordi - ONLUS di Roma, la cui Presidente
e Coordinatrice è Laura Santarelli, interprete
del TG1 in RAI.
Il
corso, oltre ad affinare gli aspetti interpretativi della LIS per diventare un
bravo interprete, mi rivela la naturale inclinazione nei confronti dell’Arte. E
qui ancora l’inaspettato e insperato arriva a sorprendermi: l’occasione è
quella di intraprendere un percorso da performer e per portare in scena un
progetto musical-teatrale in Lingua dei Segni, lo spettacolo “Notre Dame de
Paris” in versione LIS, diretto e ideato dalla stessa Laura Santarelli, che ha
come obiettivo una maggiore partecipazione dei sordi nel mondo del teatro.
Decisiva la performance artistica che presento: la canzone “Dio ma quanto è
ingiusto il mondo” (originariamente cantata da Giò Di Tonno nel musical tanto
acclamato), durante una lezione di cui Laura Santarelli presiede la direzione. La
Santarelli, piacevolmente sorpresa della mia interpretazione, decide di
affidare il ruolo da protagonista, precedentemente da lei interpretato, al promettente
allievo, che inaspettatamente supera il Maestro. Il corso porta i risultati
sperati, il voto finale è 110 e lode ma, soprattutto, mi cuce addosso il ruolo
di Quasimodo, che porto per la prima volta in scena proprio a Palermo nel giugno
2013.”
·
A questo
punto Andrea Falanga Lis performer è pronto per la sua ascesa professionale, e proprio all’apice della sua formazione ed
espressione artistica fa un nuovo incontro decisivo…
“Gli
eventi si susseguono, con “Notre Dame de Paris” in versione LIS, calco la scena
di alcuni dei palchi più prestigiosi del Paese come il Teatro Augusteo di
Salerno, il Brancaccio e il Teatro Olimpico di Roma; in quest’ultimo spettacolo
la partecipazione di un ospite illustre, interprete di questo musical, Matteo
Setti, che dà al suo personaggio, Gringoire, la voce che abbiamo imparato a
conoscere. L’incontro con Matteo mi porta a desiderare di proseguire con più
determinazione sulla strada del teatro e dell’interpretazione e a sensibilizzare
un numero crescente di persone sul meraviglioso ed espressivo mondo della
Lingua dei Segni Italiana.”
·
Della tua
esperienza, breve ma intensa, professionalmente valida con la LIS (Lingua dei
Segni Italiana) cosa hai lasciato di te stesso, cosa hai compreso, cosa ti è
rimasto?
“Tutto
è iniziato molto rapidamente, ogni persona ti da sempre qualcosa e nella vita
non si finisce mai di imparare. Quando salgo sul palco, l’odore del palco,
l’attesa, il cuore che batte, è tutto reale per me, diventa tutto semplice,
cuore, dalla prima all’ultima goccia di sudore.
Tutto
inizia dalle prove, da quando ti siedi e inizi a scrivere, buttare giù le idee,
cercare i brividi… Quando il pubblico risponde con gli applausi, la gioia
immensa…
Il
mio obiettivo vuole essere emozionare ed emozionarsi sempre…Cercare la meraviglia
attraverso le mie mani, sentir vibrare il cuore.
Ho
capito che non è tutto scontato, in questo mondo serve tanta passione, sacrificio,
inventiva…Non bisogna scalciare, sentirsi protagonisti, bisogna essere molto,
molto umili… Imparare in silenzio da chi ha più esperienza di te, ringraziare e
imparare.”
·
Progetti
per il futuro? Puoi raccontarci qualcosa?
“Sto
selezionando delle canzoni italiane e straniere da poter interpretare in Lis. Vorrei
creare dei video con il mio gruppo di Palermo, coreografare canzoni con altri
interpreti è uno dei miei sogni. Ma non sono solo, tutto ciò lo farò con
l’aiuto di Matteo Setti. Voglio far avvicinare tutto il pubblico al mio mondo e
mettere insieme queste due tipologie di artisti creando un unico grande show.”
·
Cos’è per
te la Cultura Sorda in Italia, alla luce del mancato riconoscimento nazionale
della Lis come lingua nazionale?
“Il riconoscimento
della Lingua dei Segni in Italia aprirebbe tantissime opportunità che, oggi, ai
sordi sono negate, e per loro sarebbe una grande conquista che premia e
risarcisce per anni di lotte e delusioni. Un diritto che i sordi hanno è quello
del riconoscimento della loro lingua, la LIS, una lingua vera e propria, con una
struttura grammaticale ben precisa, come qualsiasi altra lingua esistente. Ma
c’è ancora troppa poca coerenza tra quello che si dice e i pochi fatti.”
·
Come
cambieresti il mondo della scuola, rispetto all’inserimento delle figure
specialistiche preposte allo sviluppo e crescita delle persone sorde, in virtù
della tua esperienza?
“Almeno
qui da noi, ti parlo della realtà di Palermo, gli assistenti alla comunicazione
in Lis, come figure specifiche preposte nel mondo scolastico iniziano tardi ad
entrare nelle scuole…Alle superiori il lato emotivo, la personalità di un
ragazzo sordo è ben formata, è adulta. Quindi tutto dovrebbe avere inizio nella
scuola d’infanzia e dovrebbe essere inserito l’interprete Scolastico, è una
figura davvero fondamentale per la crescita dell’alunno…Poi per concepire
l’inclusione a 360°, la Lis dovrebbe essere ovunque, dalla Recita di Natale ai
saluti di fine anno scolastico, dalla musica al teatro…Inclusione vera significa
tutto con i sordi e per gli udenti che
vogliono avvicinarsi a questo mondo.”
·
Ti
ringrazio per questa preziosa testimonianza, ti lasciamo al tuo nuovo lavoro
con Matteo Setti…Prima di andar via puoi lasciarci un “segno” di differenza, se
c’è, tra l’interpretazione a teatro e l’interpretazione con lui?
“Quando
sali sul palco tutto diventa teatro.
Collaborare
con Matteo è un continuo imparare, ti fa sentire a tuo agio, è un artista pieno
di risorse, una grande esperienza internazionale messa a disposizione di un
mondo sconosciuto ai più. Lui sarà impegnato con il nuovo tour italiano di
“Notre Dame dei Paris” ma cercherà di seguire anche questo progetto attivo per
promuovere l’Arte in Lingua dei Segni. Quando si va ad interpretare sul palco
si studia un modo di “cantare” che, comunque sia è artificiale, “registrato”;
avere accanto Matteo in live, invece, amplifica l’emozione, la sua voce e l’interpretazione
entrano proprio dentro. Una persona umile e pronta a mettersi in gioco anche
con la Lingua dei Segni e devo dire che “Il Tempo delle Cattedrali” è già
entrata nelle “corde” delle sue mani.”
Nadia Lisanti
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