Foto Andrea Aquilante
Mamadou Dioume attore di fama internazionale si diploma presso l’Istituto Nazionale delle Arti del Senegal (INAS) dove consegue il primo premio “Prix de tragèdie” e interpreta numerosi importanti ruoli. Nel 1968 si fa riconoscere per il ruolo di Creonte nell’Antigone di Jean Anouilh, grazie al quale entra nel Teatro nazionale Daniel Sorano, dove lavora fino al 1984 sotto la direzione di Raymond Hermantier, compagno di Jean Vilar. Nel marzo del 1984 viene notato da Peter Brook che lo invita ad interpretare Bhima, il figlio del vento dalla forza prodigiosa, nel "Mahābhārata", Interpreterà questo ruolo sia in francese sia in inglese durante la tournée teatrale mondiale durata fino al 1988. Dopo il lavoro teatrale, gli viene proposto lo stesso ruolo per la versione cinematografica nel settembre 1988. Continua poi la collaborazione con Peter Brook e a la compagnia CICT, interpretando altre opere, tra le quali “La Tragèdie de Carmen”, “Woza Albert”, “La Tempète”. Ha inoltre diretto numerosi spettacoli nel mondo (in Norvegia, Francia, Africa..) e in Italia (a Torino, Napoli, Firenze, Roma, Bologna..) e preso parte in numerose produzioni cinematografiche tra le quali “The Tempest” di Julie Taymor. Dal 1991 dirige workshop e masterclass per attori in Africa e in tutta Europa arrivando a conseguire le conoscenze per trasmettere la forza delle sue tradizioni agli allievi europei. Ha diretto percorsi di formazione in tutta Italia. Collabora con diverse associazioni in Italia e dirige il Policardia Teatro Centro Di Creazione Internazionale con sede in Versilia.
Solo poche riche per un curriculum che si
esprime in vita attraverso l’esperienza con Mamadou Dioume, riflesso
incondizionato di ciò che profondamente equivale a fare esperienza di se
stessi, sempre che si sia persone aperte a cogliere i semi che ognuno di noi ha
dentro lasciandoli germogliare.
Fuor di metafora nel mezzo dello Stage “Viaggio
verso lo sconosciuto”, un percorso teatrale rivolto ad attori professionisti e
non concepito da Mamadou Dioume, ho la fortuna di incontrarlo:
·
Mamadou Dioume “Viaggio verso lo
sconosciuto”, una percorrenza all’interno di noi stessi e all’interno del testo
seguendo delle tappe e rapportandosi a tre opere scelte, Le Baccanti di
Euripide, Quai Ouest di Bernard-Marie Koltès, Joyzelle di Maurice Maeterlinck…Come si coniuga questo
intreccio esperienziale?
“Le tappe sono necessarie
per metabolizzare un testo…Quando
lavoriamo sulla fretta non viviamo qualcosa. Un’esperienza da vivere è la
verità altrui…La verità che incontriamo spingendoci verso lo sconosciuto, distaccandoci
da tutti i nostri bagagli perché ciò avvenga: non esiste una formula per andare
verso qualcosa ma spingere la persona verso lo sconosciuto amplifica la
conoscenza di quei semi che sono dentro di noi, e che hanno bisogno di tempo
per radicarsi e di esplorazioni per risvegliarsi…
E dobbiamo permettere a
questo tempo di esprimersi, così si cresce, andando oltre…
Il testo è lo sconosciuto,
una verità che non è la nostra ma viene da lontano…Un testo ci nutre ma
dobbiamo focalizzarci sul testo nudi, senza idee preconcette e, ciò di cui
parlo, vive ogni volta che incontro un capolavoro!
Se la persona è attenta, non
in un’analisi cerebrale, se è attenta perché libera dal proprio immaginario
preconcetto, quella persona diventa fertile all’ascolto e il testo comincia ad
esprimersi ad un altro livello di profondità…Lì se ascolti e fai lavorare la
vista percepisci Dante, lì si risveglia
Shakespeare, dandoti altre verità. Questi tre testi li porto con me da
un bel po’, dall’antichità, ci dicono cose che sono essenziali in rapporto alla
vita, noi ci basiamo su ciò che è scritto ma non andiamo mai oltre…
Eppure in un capolavoro c’è
una parte che è visibile e un’altra che è invisibile, come un segreto, e quella
parte ti parla solo se sei disposto a compiere un cammino verso lo sconosciuto,
senza paura: è in quell’esoterico che la conoscenza diventa un nutrimento per
te per gli altri che non puoi esprimere con le parole.”
· Le tappe propedeutiche sono conosciute,
il percorso attraversa le fasi dell’esplorazione del linguaggio del corpo a
partire dalla danza e il canto, passando per l’improvvisazione, in questo
lavoro di “limatura spontanea” che i partecipanti compiono su se stessi,
Mamadou Dioume come riesce a liberare o contenere le energie che durante il
percorso accoglie dagli altri?
“Le persone mi nutrono in
due fasi, la persona mostra il negativo, seguo la persona senza giudicarla,
l’accompagno ad un percorso…Se parlo troppo
faccio parlare la testa, ed è lì che mi si indica chi ha sete e fame ma deve
essere la persona disposta ad ascoltarsi, nel silenzio…Deposito tutto ciò che
mi arriva dalle persone, e poi faccio un’analisi e pulisco, la persona mi
nutre, nell’infinitamente grande che è il quotidiano…Se sei aperto la vedi e
ciò che viene fuori è una meraviglia, un’emozione che non si può spiegare, ma vivere e far vivere…La persona ti guarda e
sorride..”
· Mamadou Dioume è Bhima, il figlio del
vento, dalla forza prodigiosa nel Mahabharata a teatro prima e poi a cinema… Cos’è
la leggerezza e cosa la forza?
“Non ho la forza di cento
elefanti…(e sorride) quella è la storia
umana, è la distruzione, la distruzione è umana.
Tutto ciò che esiste ovunque giace dentro…
Mi allontano da questi
concetti, l’aria l’abbiamo come elemento, la leggerezza la ritroviamo in un cantastorie
e umanamente quella storia ci nutre perché andiamo verso una grande fantasia.
Nel 1985 quando siamo andati
in India uno dei saggi mi disse: “tu sei Bhima”, ma io ho il ruolo, mi sussurra
delle cose, mi accompagna e pian piano scopro
dei collegamenti in rapporto alle mie tradizioni, perché tutte le cose
che esistono sono delle cose umane…L’esperienza che ho vissuto è un’altra cosa,
mi sono sentito posseduto quando recitavo, ero io ma anche qualcosa che mi
sosteneva, una certa forza che non posso spiegare.
In India tu non puoi mai
dire perché, come, sappi ascoltare, qualcosa ti tocca e percepiamo l’essere:
recitare è condividere…Condivido con me, nutro la persona perché quella persona
è un terreno fertile, è essenza umana, nessuno stile”.
· Lo stage è concepito a tappe e con una
certa autonomia interna, si rivolge ad attori professionisti e non: che cos’è
l’umanità per te e come si radica in te stesso?
“L’umanità mi attraversa, mi
nutre.
Se divento arido qualcosa
non va è come se non ascoltassi quello che mi interessa, no?
E questo accade quando la
distinzione tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere persiste, perché
guardare non è ancora vedere.
Ma la vera umanità è la riconquista dell’infanzia, è:
“ora so ciò che ho saputo quando ero bambino”, è l’apertura totale,
incondizionata. L’amore colpisce tutti, l’amore non ha colore. Bene.
Recentemente ho incontrato l’umanità in un Tempio a Parma e poi in un anziano a
Roma che incontro sempre e l’ultima volta mi ha detto “Sorriditi”…”
Grazie
Mamadou Dioume
Nadia
Lisanti