mercoledì 14 settembre 2016

La poesia è un silenzio che si fa sentire

Grazie alla giornalista Maria Del rosso per l'intervista al periodico NelMese


A questo indirizzo è possibile leggerla se avete piacere a farlo.
Ringrazio tutte le persone che non hanno temuto di sperimentare nuove strade con me.



Grazie alla redazione del Periodico di cultura NelMese e alla giornalista Maria Del Rosso per l'intervista. Buona lettura a chi avrà piacere di leggerla.

http://www.nelmese.com/2016/09/lisanti-la-poesia-e-un-silenzio-che-si-fa-sentire/


La poesia è un silenzio che si fa sentire

Grazie alla giornalista Maria Del rosso per l'intervista al periodico NelMese


A questo indirizzo è possibile leggerla se avete piacere a farlo.
Ringrazio tutte le persone che non hanno temuto di sperimentare nuove strade con me.



Grazie alla redazione del Periodico di cultura NelMese e alla giornalista Maria Del Rosso per l'intervista. Buona lettura a chi avrà piacere di leggerla.

http://www.nelmese.com/2016/09/lisanti-la-poesia-e-un-silenzio-che-si-fa-sentire/


Grazie alla giornalista Maria Del Rosso per l'intervista al periodico NelMese.

A questo indirizzo è possibile leggerla se avete piacere a farlo.

http://www.nelmese.com/2016/09/lisanti-la-poesia-e-un-silenzio-che-si-fa-sentire/
Ringrazio tutte le persone che non hanno temuto di sperimentare nuove strade con me.

https://vimeo.com/108886797

http://www.nelmese.com/2016/09/lisanti-la-poesia-e-un-silenzio-che-si-fa-sentire/




giovedì 28 luglio 2016

Ritratti. Mamadou Dioume: “Viaggio verso lo sconosciuto” terza tappa dello Stage dal 15 al 20 Marzo a Milano


Foto Andrea Aquilante


Mamadou Dioume attore di fama internazionale si diploma presso l’Istituto Nazionale delle Arti del Senegal (INAS) dove consegue il primo premio “Prix de tragèdie” e interpreta numerosi importanti ruoli. Nel 1968 si fa riconoscere per il ruolo di Creonte nell’Antigone di Jean Anouilh, grazie al quale entra nel 
Teatro nazionale Daniel Sorano, dove lavora fino al 1984 sotto la direzione di Raymond Hermantier, compagno di Jean Vilar. Nel marzo del 1984 viene notato da Peter Brook che lo invita ad interpretare Bhima, il figlio del vento dalla forza prodigiosa, nel "Mahābhārata", Interpreterà questo ruolo sia in francese sia in inglese durante la tournée teatrale mondiale durata fino al 1988. Dopo il lavoro teatrale, gli viene proposto lo stesso ruolo per la versione cinematografica nel settembre 1988. Continua poi la collaborazione con Peter Brook e a la compagnia CICT, interpretando altre opere, tra le quali “La Tragèdie de Carmen”, “Woza Albert”, “La Tempète”. Ha inoltre diretto numerosi spettacoli nel mondo (in Norvegia, Francia, Africa..) e in Italia (a Torino, Napoli, Firenze, Roma, Bologna..) e preso parte in numerose produzioni cinematografiche tra le quali “The Tempest” di Julie Taymor. Dal 1991 dirige workshop e masterclass per attori in Africa e in tutta Europa arrivando a conseguire le conoscenze per trasmettere la forza delle sue tradizioni agli allievi europei. Ha diretto percorsi di formazione in tutta Italia. Collabora con diverse associazioni in Italia e dirige il Policardia Teatro Centro Di Creazione Internazionale con sede in Versilia.
Solo poche riche per un curriculum che si esprime in vita attraverso l’esperienza con Mamadou Dioume, riflesso incondizionato di ciò che profondamente equivale a fare esperienza di se stessi, sempre che si sia persone aperte a cogliere i semi che ognuno di noi ha dentro lasciandoli germogliare.
Fuor di metafora nel mezzo dello Stage “Viaggio verso lo sconosciuto”, un percorso teatrale rivolto ad attori professionisti e non concepito da Mamadou Dioume, ho la fortuna di incontrarlo:

·        Mamadou Dioume “Viaggio verso lo sconosciuto”, una percorrenza all’interno di noi stessi e all’interno del testo seguendo delle tappe e rapportandosi a tre opere scelte, Le Baccanti di Euripide, Quai Ouest di Bernard-Marie Koltès, Joyzelle di Maurice Maeterlinck…Come si coniuga questo intreccio esperienziale?

Le tappe sono necessarie per  metabolizzare un testo…Quando lavoriamo sulla fretta non viviamo qualcosa. Un’esperienza da vivere è la verità altrui…La verità che incontriamo spingendoci verso lo sconosciuto, distaccandoci da tutti i nostri bagagli perché ciò avvenga: non esiste una formula per andare verso qualcosa ma spingere la persona verso lo sconosciuto amplifica la conoscenza di quei semi che sono dentro di noi, e che hanno bisogno di tempo per radicarsi e di esplorazioni per risvegliarsi…
E dobbiamo permettere a questo tempo di esprimersi, così si cresce, andando oltre…
Il testo è lo sconosciuto, una verità che non è la nostra ma viene da lontano…Un testo ci nutre ma dobbiamo focalizzarci sul testo nudi, senza idee preconcette e, ciò di cui parlo, vive ogni volta che incontro un capolavoro!
Se la persona è attenta, non in un’analisi cerebrale, se è attenta perché libera dal proprio immaginario preconcetto, quella persona diventa fertile all’ascolto e il testo comincia ad esprimersi ad un altro livello di profondità…Lì se ascolti e fai lavorare la vista percepisci Dante, lì si risveglia  Shakespeare, dandoti altre verità. Questi tre testi li porto con me da un bel po’, dall’antichità, ci dicono cose che sono essenziali in rapporto alla vita, noi ci basiamo su ciò che è scritto ma non andiamo mai oltre…
Eppure in un capolavoro c’è una parte che è visibile e un’altra che è invisibile, come un segreto, e quella parte ti parla solo se sei disposto a compiere un cammino verso lo sconosciuto, senza paura: è in quell’esoterico che la conoscenza diventa un nutrimento per te per gli altri che non puoi esprimere con le parole.”

·       Le tappe propedeutiche sono conosciute, il percorso attraversa le fasi dell’esplorazione del linguaggio del corpo a partire dalla danza e il canto, passando per l’improvvisazione, in questo lavoro di “limatura spontanea” che i partecipanti compiono su se stessi, Mamadou Dioume come riesce a liberare o contenere le energie che durante il percorso accoglie dagli altri?

“Le persone mi nutrono in due fasi, la persona mostra il negativo, seguo la persona senza giudicarla, l’accompagno  ad un percorso…Se parlo troppo faccio parlare la testa, ed è lì che mi si indica chi ha sete e fame ma deve essere la persona disposta ad ascoltarsi, nel silenzio…Deposito tutto ciò che mi arriva dalle persone, e poi faccio un’analisi e pulisco, la persona mi nutre, nell’infinitamente grande che è il quotidiano…Se sei aperto la vedi e ciò che viene fuori è una meraviglia, un’emozione che non si può spiegare, ma  vivere e far vivere…La persona ti guarda e sorride..”
·       Mamadou Dioume è Bhima, il figlio del vento, dalla forza prodigiosa nel Mahabharata a teatro prima e poi a cinema… Cos’è la leggerezza e cosa la forza?

“Non ho la forza di cento elefanti…(e  sorride) quella è la storia umana, è la distruzione, la distruzione è umana.
 Tutto ciò che esiste ovunque giace dentro…
Mi allontano da questi concetti, l’aria l’abbiamo come elemento,  la leggerezza la ritroviamo in un cantastorie e umanamente quella storia ci nutre perché andiamo verso una grande fantasia.
Nel 1985 quando siamo andati in India uno dei saggi mi disse: “tu sei Bhima”, ma io ho il ruolo, mi sussurra delle cose, mi accompagna e pian piano scopro  dei collegamenti in rapporto alle mie tradizioni, perché tutte le cose che esistono sono delle cose umane…L’esperienza che ho vissuto è un’altra cosa, mi sono sentito posseduto quando recitavo, ero io ma anche qualcosa che mi sosteneva, una certa forza che non posso spiegare.
In India tu non puoi mai dire perché, come, sappi ascoltare, qualcosa ti tocca e percepiamo l’essere: recitare è condividere…Condivido con me, nutro la persona perché quella persona è un terreno fertile, è essenza umana, nessuno stile”.
·       Lo stage è concepito a tappe e con una certa autonomia interna, si rivolge ad attori professionisti e non: che cos’è l’umanità per te e come si radica in te stesso?
“L’umanità mi attraversa, mi nutre.
Se divento arido qualcosa non va è come se non ascoltassi quello che mi interessa, no?
E questo accade quando la distinzione tra ciò che siamo e ciò che vorremmo essere persiste, perché guardare non è ancora vedere.
Ma la vera umanità è la riconquista dell’infanzia, è: “ora so ciò che ho saputo quando ero bambino”, è l’apertura totale, incondizionata. L’amore colpisce tutti, l’amore non ha colore. Bene. Recentemente ho incontrato l’umanità in un Tempio a Parma e poi in un anziano a Roma che incontro sempre e l’ultima volta mi ha detto “Sorriditi”…”




Grazie Mamadou Dioume


Nadia Lisanti

- Qual è il segreto del mondo? -

foto Valerio Ceccarelli, sovraiscrizione Nadia

Siamo in Garfagnana, terra a me sconosciuta, e per la precisione a Bagni di Lucca. Il primo “peccato” è proprio questo e la gente del posto mi accoglie facendomelo notare con un detto popolare che, ora non ricordo a memoria, ma il cui senso è questo: “ Avrai visto Pisa e Venezia, Torino, Napoli e Firenze ma se te non hai visto Bagni di Lucca, te non hai visto niente”. Son finita in questo magico luogo per incontrare una persona meravigliosa: Mamadou Dioume. E così mi sono iscritta al workshop Cammini organizzato dal Centro Internazionale di Teatro Policardia con il Comune e la Proloco di Bagni di Lucca.
Unico contatto prima di arrivare un certo Roberto Corso, che si è occupato delle comunicazioni da diffondere attraverso il social e dell’accoglienza insieme a Valerio Ceccarelli, presidente della proloco. E così per riabbracciare Mamadou mi sono messa in cammino dalla Basilicata, ho coinvolto la mia clown preferita Mary e con lei son partita alla volta di questa esplorazione. Materiale necessario al workshop, tre palline da tennis, un tappetino da campeggio, abbigliamento comodo, un bastone di legno e il libro di J. C. Carrière Il segreto del mondo. Il viaggio con i regionali delle Ferrovie dello Stato da Picerno (PZ) a Bagni di Lucca dura quasi dieci ore e le abbiamo percorse tutte per trovarci lì a meno un quarto d’ora dall’inizio del lavoro. La prima cosa che ho sperimentato e percepito, prima di abbracciare Mamadou, è dunque questa: la Basilicata è più terza del terzo mondo come scriveva il bambino del libro di Marcello Orta*, sì, ma è pur vero che il tempo è una dimensione elastica e l’attesa di un incontro importante mi ha fatto percepire la distanza dimezzata, mi son sembrate cinque ore di viaggio, non di più. Arrivata a Bagni di Lucca con un passaggio in auto dalle ragazze iscritte allo stesso workshop, scendiamo dall’auto ed ecco, materializzarsi in carne ed ossa, il profilo di Facebook: Roberto Corso. Ci accompagna, gentilmente, all’Hotel Europa e ci indica il percorso che dovremmo fare a ritroso per raggiungere il circolo dei Forestieri dove si terrà l’esperienza di tre giorni con Mamadou Dioume. Il tre Gennaio, atmosfera intorno è quella natalizia, il borgo ha luci accese e angoli pittoreschi, somiglia tanto ad una location cinematografica senza cameraman che girano. Saranno andati tutti a riposare e sono le 17:45? Lavorano di notte come Mamadou?Questo è il segreto del mondo?!
Affrettiamo il passo e siamo davanti al Circolo dei Forestieri, realizzo avvicinandomi che quell’altezza è Mamadou Dioume, corro verso di lui e faccio per abbracciarlo a mo’di Nadia, lanciandomi al collo ma Mamadou mi ferma, donandomi la sua estraneità: - Sono all’antica Nadia, sono io che mi porgo verso la donna –  Rewind. Tutto da rifare ma è così che ci si abbraccia incontrando un’altra cultura, così che ci si conosce, da un gesto, il primo, quello più spontaneo per me quando voglio bene a qualcuno.
E io a Mamadou voglio un gran bene. Dopo una dissolvenza su questo piano relazionale, ad abbraccio sciolto ho il piacere di stringere la mano di Andrea Elodie Moretti, direttore del Policardia e a Valentina, compagna di Mamadou. Stessa sorte tocca a Mary come in ogni rito che si rispetti. Si parte, via, si entra nella Sala Rosa del Circolo e si è rapiti dal lavoro di Mamadou con un gruppo di adolescenti. Le prime due ore ci coinvolgono così, siamo osservatori silenziosi e rispettosi di quanto accade. Jean Claude Carrière, si siede accanto a me, come fantasma di un’opera che si sta creando sotto i miei occhi, fra tanti altri occhi, mani, respiri, piedi, persone che diventano miei compagni di viaggio, complice segreto di ogni silenzio o parola, gesto o seduzione, postura o espressione che ci circonda. Siamo vivi e siamo in compagnia di vivi e morti, siamo assorti in continui risvegli, il tempo è una dimensione elastica, ritorna ad ogni sensazione, si sprigiona dalle viscere della terra fino ad esalare attraverso le venature del legno per farsi sospiro, attrito e distanza, passo e costanza. Assume forme geometriche di un assolo che in prosaici atti di vita quotidiana ricrea l’ensemble, lì sotto gli occhi dell’autore, sotto i piedi di un Attore che ci invita, evocando i continenti e tutti i cammini che li hanno attraversati, a compiere un viaggio verso noi stessi: è così che si incontra l’altro. E penso al gup generazionale, a questa formula in cui stiamo ingabbiando chilometri di civiltà per allontanarci dalle persone, quando basterebbe concepire la narrazione come ciò che è sempre stato, il presupposto di una tradizione, il principio cardine di una realtà che si tramanda. E penso anche a loro, a tutte le persone sorde verso le quali abbiamo creato un divario culturale perché, non accedendo alla loro lingua, ne ignoriamo la storia.  E penso anche a tutti i Maestri che dalla nascita ad oggi mi hanno trasmesso conoscenza, e che nella parola e della parola, ne hanno fatto strumento di percezione della realtà. E mi chiedo allora, dopo un lavoro intensivo sul linguaggio del corpo,  dopo aver acceso un fuoco insieme ai miei compagni di viaggio e narrato una storia come si faceva una volta, dalla notte dei tempi, in ogni civiltà e ad ogni latitudine umana: - Qual è il segreto del mondo? –
Forse il segreto è solo la vita in tutto il suo mistero.
E il mio viaggio continua, mi arricchisce di bellezza, sta negli occhi di chi ci fotografa, Valerio, che di Bagni di Lucca non è ma che a Bagni di Lucca resta perché in quel luogo è sepolto suo figlio. E mi viene da piangere per tutta la meraviglia che si nasconde nel legame con la terra, con le radici, con la vita, con la morte, con il futuro che si fa presente, puro e semplice istante in cui tutti noi stessi ci trasportiamo da un luogo ad un altro, centimetro dopo centimetro, ora dopo ora. E così ogni spazio umano diventa un tempo naturale che asseconda il ciclo del giorno e della notte, un orologio immateriale che come un diapason accorda i respiri dell’universo. Il segreto del mondo allora, siamo noi stessi, esseri senzienti senza direzione, zingari distratti con il peso di domani, angoli sepolti da una briciola di pane che continuano a lottare per un soffio di vento.
Questo vento che è, anche quando non si sente, impercettibile suono che dà voce al silenzio, è, anche quando non si vede.
-        Qual è il segreto del mondo allora? –
-        Il silenzio con cui gli occhi lo ascoltano? –


Grazie Mamadou Dioume e grazie a tutti,  compresa me che ha camminato verso Te.

- Qual è il segreto del mondo? -

foto Valerio Ceccarelli, sovraiscrizione Nadia

Siamo in Garfagnana, terra a me sconosciuta, e per la precisione a Bagni di Lucca. Il primo “peccato” è proprio questo e la gente del posto mi accoglie facendomelo notare con un detto popolare che, ora non ricordo a memoria, ma il cui senso è questo: “ Avrai visto Pisa e Venezia, Torino, Napoli e Firenze ma se te non hai visto Bagni di Lucca, te non hai visto niente”. Son finita in questo magico luogo per incontrare una persona meravigliosa: Mamadou Dioume. E così mi sono iscritta al workshop Cammini organizzato dal Centro Internazionale di Teatro Policardia con il Comune e la Proloco di Bagni di Lucca.
Unico contatto prima di arrivare un certo Roberto Corso, che si è occupato delle comunicazioni da diffondere attraverso il social e dell’accoglienza insieme a Valerio Ceccarelli, presidente della proloco. E così per riabbracciare Mamadou mi sono messa in cammino dalla Basilicata, ho coinvolto la mia clown preferita Mary e con lei son partita alla volta di questa esplorazione. Materiale necessario al workshop, tre palline da tennis, un tappetino da campeggio, abbigliamento comodo, un bastone di legno e il libro di J. C. Carrière Il segreto del mondo. Il viaggio con i regionali delle Ferrovie dello Stato da Picerno (PZ) a Bagni di Lucca dura quasi dieci ore e le abbiamo percorse tutte per trovarci lì a meno un quarto d’ora dall’inizio del lavoro. La prima cosa che ho sperimentato e percepito, prima di abbracciare Mamadou, è dunque questa: la Basilicata è più terza del terzo mondo come scriveva il bambino del libro di Marcello Orta*, sì, ma è pur vero che il tempo è una dimensione elastica e l’attesa di un incontro importante mi ha fatto percepire la distanza dimezzata, mi son sembrate cinque ore di viaggio, non di più. Arrivata a Bagni di Lucca con un passaggio in auto dalle ragazze iscritte allo stesso workshop, scendiamo dall’auto ed ecco, materializzarsi in carne ed ossa, il profilo di Facebook: Roberto Corso. Ci accompagna, gentilmente, all’Hotel Europa e ci indica il percorso che dovremmo fare a ritroso per raggiungere il circolo dei Forestieri dove si terrà l’esperienza di tre giorni con Mamadou Dioume. Il tre Gennaio, atmosfera intorno è quella natalizia, il borgo ha luci accese e angoli pittoreschi, somiglia tanto ad una location cinematografica senza cameraman che girano. Saranno andati tutti a riposare e sono le 17:45? Lavorano di notte come Mamadou?Questo è il segreto del mondo?!
Affrettiamo il passo e siamo davanti al Circolo dei Forestieri, realizzo avvicinandomi che quell’altezza è Mamadou Dioume, corro verso di lui e faccio per abbracciarlo a mo’di Nadia, lanciandomi al collo ma Mamadou mi ferma, donandomi la sua estraneità: - Sono all’antica Nadia, sono io che mi porgo verso la donna –  Rewind. Tutto da rifare ma è così che ci si abbraccia incontrando un’altra cultura, così che ci si conosce, da un gesto, il primo, quello più spontaneo per me quando voglio bene a qualcuno.
E io a Mamadou voglio un gran bene. Dopo una dissolvenza su questo piano relazionale, ad abbraccio sciolto ho il piacere di stringere la mano di Andrea Elodie Moretti, direttore del Policardia e a Valentina, compagna di Mamadou. Stessa sorte tocca a Mary come in ogni rito che si rispetti. Si parte, via, si entra nella Sala Rosa del Circolo e si è rapiti dal lavoro di Mamadou con un gruppo di adolescenti. Le prime due ore ci coinvolgono così, siamo osservatori silenziosi e rispettosi di quanto accade. Jean Claude Carrière, si siede accanto a me, come fantasma di un’opera che si sta creando sotto i miei occhi, fra tanti altri occhi, mani, respiri, piedi, persone che diventano miei compagni di viaggio, complice segreto di ogni silenzio o parola, gesto o seduzione, postura o espressione che ci circonda. Siamo vivi e siamo in compagnia di vivi e morti, siamo assorti in continui risvegli, il tempo è una dimensione elastica, ritorna ad ogni sensazione, si sprigiona dalle viscere della terra fino ad esalare attraverso le venature del legno per farsi sospiro, attrito e distanza, passo e costanza. Assume forme geometriche di un assolo che in prosaici atti di vita quotidiana ricrea l’ensemble, lì sotto gli occhi dell’autore, sotto i piedi di un Attore che ci invita, evocando i continenti e tutti i cammini che li hanno attraversati, a compiere un viaggio verso noi stessi: è così che si incontra l’altro. E penso al gup generazionale, a questa formula in cui stiamo ingabbiando chilometri di civiltà per allontanarci dalle persone, quando basterebbe concepire la narrazione come ciò che è sempre stato, il presupposto di una tradizione, il principio cardine di una realtà che si tramanda. E penso anche a loro, a tutte le persone sorde verso le quali abbiamo creato un divario culturale perché, non accedendo alla loro lingua, ne ignoriamo la storia.  E penso anche a tutti i Maestri che dalla nascita ad oggi mi hanno trasmesso conoscenza, e che nella parola e della parola, ne hanno fatto strumento di percezione della realtà. E mi chiedo allora, dopo un lavoro intensivo sul linguaggio del corpo,  dopo aver acceso un fuoco insieme ai miei compagni di viaggio e narrato una storia come si faceva una volta, dalla notte dei tempi, in ogni civiltà e ad ogni latitudine umana: - Qual è il segreto del mondo? –
Forse il segreto è solo la vita in tutto il suo mistero.
E il mio viaggio continua, mi arricchisce di bellezza, sta negli occhi di chi ci fotografa, Valerio, che di Bagni di Lucca non è ma che a Bagni di Lucca resta perché in quel luogo è sepolto suo figlio. E mi viene da piangere per tutta la meraviglia che si nasconde nel legame con la terra, con le radici, con la vita, con la morte, con il futuro che si fa presente, puro e semplice istante in cui tutti noi stessi ci trasportiamo da un luogo ad un altro, centimetro dopo centimetro, ora dopo ora. E così ogni spazio umano diventa un tempo naturale che asseconda il ciclo del giorno e della notte, un orologio immateriale che come un diapason accorda i respiri dell’universo. Il segreto del mondo allora, siamo noi stessi, esseri senzienti senza direzione, zingari distratti con il peso di domani, angoli sepolti da una briciola di pane che continuano a lottare per un soffio di vento.
Questo vento che è, anche quando non si sente, impercettibile suono che dà voce al silenzio, è, anche quando non si vede.
-        Qual è il segreto del mondo allora? –
-        Il silenzio con cui gli occhi lo ascoltano? –


Grazie Mamadou Dioume e grazie a tutti,  compresa me che ha camminato verso Te.

martedì 26 luglio 2016

Ritratti. Antonio La Cava, maestro lucano in pensione: sono 17 anni che“allevo futuri lettori” grazie al Bibliomotocarro.







Antonio La Cava, 42 anni prestati all’insegnamento nella scuola pubblica, come maestro alle elementari prima e come promotore originale della lettura per i bambini, dopo. Siamo a Ferrandina, un paese in provincia di Matera, dove grazie alla felice intuizione del maestro, da ben 17 anni, tutti i bambini, soprattutto quelli “ai margini”, hanno la possibilità di avere tra le mani un libro: ci ha pensato lui!
Ideatore di una biblioteca itinerante “a due ruote”, Antonio La Cava, inizialmente girava per il paese di Ferrandina e poi i piccoli comuni limitrofi, Craco e Salandra, con un appuntamento fisso, il sabato e la domenica,  per raggiungere la fermata “Bibliomotocarro”. Annunciato dalla musica popolare, questo maestro di gioia, arrivava a bordo di un Ape 50 per donare meraviglia e invogliare alla lettura i bambini attraverso il gioco. Lo incontro per parlare di questo viaggio che attraversa le tappe di un’evoluzione storica dell’oggetto libro e dell’approccio alla lettura, passaggio, in cui è preponderante la visione tecnologica dello stesso mezzo di trasmissione dei contenuti culturali. Un incontro interessante che mi ha portato indietro nel tempo e lasciato atmosfere magiche e poetiche, catapultandomi nello stesso spazio-tempo in cui si delineava il passaggio dalla Radio alla TV. E come per la radio è stato rassicurante per me scoprire che il libro “non morirà” mai, finchè esisteranno persone di passione e impegno che, come il nostro maestro Antonio La Cava, si reinventano costruttori di contesti “normalmente”surreali, interpretando il senso del moderno in chiave contemporanea.

·        - Maestro La Cava come comincia questo viaggio e quanto della sua stravagante iniziativa è dovuto alla sua professione di maestro? -


“Ho insegnato a scuola per ben 42 anni, sono in pensione da sei anni, sempre a Ferrandina, fondamentalmente, poi a Craco,  Salandra montagnola per un breve periodo e ad Altamura(Ba) per scambio di sede con mia moglie,  maestra come me.
Il bibliomotocarro è nato mentre stavo a scuola, era il ’99 e si cominciava a porre un problema: l’affievolimento del rapporto tra il mondo della lettura e i bambini, si cominciava a parlare dell’introduzione di altri mezzi tecnologici, il pc, il tablet…Ebbi questa felice intuizione, il cui valore aggiunto credo risieda nel fatto che io sia un maestro, è per questo che acquista maggiore credibilità e una forza in più. Ho sempre creduto all’idea della scuola viggiante, si apprende fuori le mura, l’uso didattico del territorio è sempre stata una delle mie prerogative, unite al fatto che la passione per la lettura, il fascino del rapporto con l’oggetto libro non si possa trasmettere a scuola come un imperativo. Come dice lo scrittore Pennac: “Il verbo leggere non ammette imperativo”, ecco sono stato sempre di quest’idea: la lettura va stimolata attraverso un approccio diverso, come se fosse un gioco e, dopo la scuola, il bambino dove dovrebbe trovare altri modelli che possano suscitarla? A casa…Eppure non sempre è così. Ecco perché da primo viaggio in Ape 50 oggi il mezzo che adotto è un ApeCar a forma di casa, la biblioteca richiama richiama nella sua formula anche la forma visivo-concettuale…Sapeste come i bambini restano incantati all’interno della casetta itinerante, dove trovano il luogo in cui poter leggere anche in modo moderno…

·     - Dalle “due ruote” lei è passato all’ApeCar, e intanto dal ’99 ad oggi la tecnologia è entrata a far parte del nostro quotidiano, con una velocità inaspettata: lei invece continua a scegliere la lentezza per essere moderno?- 

“Sono 17 anni che “allevo futuri lettori” e questo strumento ha oggi un grande merito:  quello di sapersi innovare rimanendo se stesso. Gli elementi distintivi rimangono sempre gli stessi:  l’umiltà del mezzo, la semplicità della proposta e la lentezza. Viaggio ad una velocità di velocità media 35 - 40 km orari. Eppure non è più solo biblioteca itinerante, ma si è trasformato in un laboratorio creativo, in un cinema itinerante. Prima arrivavo nelle piazzette ad una certa ora, indicata sulla fermata del bibliomotocarro e ad accogliermi c’erano bambini cui davo in prestito i libri e un libro bianco che, a sua volta a distanza di una settimana quando ripassavo a ritirare i libri e a fare nuova consegna, si era trasformato a sua volta in uno spazio espressivo di creatività. Oggi invece la forma è quella di una casetta che arriva, il richiamo alla lettura è dato anche dall’immagine scelta, la lettura non deve essere costrittiva, ma costruttiva e così anche il passaggio alle nuove tecnologie deve essere “filtrato” da quest’ottica: vedete, bambini, potete usare il tablet, il pc, ma come mezzo indispensabile per tradurre i libri che leggete in un altro linguaggio, quello visivo. Con questo passaggio si ritorna al libro, per questo credo che l’oggetto sia insostituibile anche in questa idea postmoderna in cui l’aggettivo moderno resta aggettivo e non modernità, se evitiamo questo sbandamento linguistico e associamo l’umanesimo a questa parola anche il lento peregrinare in Basilicata acquisisce un valore diverso".

·     - Quest’avventura speciale nel mondo della lettura proposta secondo questo magico approccio oggi viaggia anche oltre il confine della Basilicata: quale Regione è risultata più ricettiva? - 

“Oltre alla Lucania, di cui ci tengo a dire il bibliomotocarro è il simbolo e lo dico anche quando sono fuori, la prima Regione in termini di ricettività è la Puglia, per quanto anche le altre Regioni del Sud come e se possono si attivano per ospitare il Bibliomotocarro…Il problema è che il patrocinio dell’iniziativa è sempre gratuito, spesso non hanno neanche il rimborso spese di benzina. Eppure quello che sto facendo per me è promozione alla lettura, e le scuole non hanno i soldi, le istituzioni neanche, dico anche le case editrici potrebbero essere più attente e donare al bibliomotocarro, ne avrebbero il proprio ritorno…Del resto, dico sempre, e semplicemente, cosa sto facendo:  io “allevo futuri lettori”…no?! Sono stato anche a Salerno attraversando le strade provinciali, perché mi piace mostrarlo, anche quando la gente lo incontra, si crea il dibattito. Oggi abbiamo capito tutti che non si può fare a meno del libro: leggere è una cosa gioiosa”.


·         - Dove ha preso il primo libro che ha letto e come sceglie i libri per i bambini? -

“Il primo libro che ho letto, l’ho preso da un camion, era un bibliobus che svolgeva servizio per il provveditorato agli studi per provincia di Matera e Potenza, e quest’immagine è rimasta nella mente di questo ragazzino di 15 anni: portare il libro nei posti in cui c’è bisogno. I miei genitori erano contadini, vivevo in una casa con una sola lampadina: quando mia madre spegneva la luce, accendevo la candela e questa candela ha illuminato la mia passione per la lettura. Il Bibliomotocarro oggi svolge servizio nelle scuole della provincia e della regione, con attività annuali calendarizzate e poi in iniziative speciali, a volte magari sono anche contesti non proprio strutturati, sono sagre, ma anche lì vado lo stesso perché i libro deve arrivare fino “ai margini”, non lasciamo nessun bambino senza un libro tra le mani”.
Mi congedo dalla sua delicatissima voce con la voglia di incontrarlo presto e affidare i libri alle sue mani!


Nadia Lisanti






Ritratti. AntonioNicolaBruno, dopo “Magic Sound” il prossimo lavoro “Elettronica Popular”: incontro con il musicista poeta del Sud.




Non ha bisogno di presentazioni Antonio Nicola Bruno, musicista d’eccezione nel panorama della musica d’autore, lo incontriamo prima dell’uscita del nuovo lavoro “Elettronica Popular” lo incontro “in Fiore di Lucania”, Terra natìa.

·        Antonio Nicola Bruno, qual è il primo strumento o corda che hai suonato e che ricordo hai di quell'esperienza?

“All'età di 5 anni ereditai la mia prima chitarra da mio fratello Alessandro, che non era interessato allo studio della musica.
Mi arrivò così questa chitarra che aveva sole tre corde, e con questa iniziai a comporre i miei primi pezzi insieme a Giorgio, mio fratello.
Addirittura registravamo con un registratore geloso a bobina, e iniziammo a fare molti pezzi che si concludevano sempre con un urlo da stadio ed intervista che ci scambiavamo. Dopo qualche anno, dopo aver imparato tutti i pezzi dei dischi che arrivavano a casa, mia madre si convinse che era tempo di farmi studiare e cosi' cominciai un percorso di studi classici per chitarra durato all'incirca 6 anni. E comunque continuavo a scrivere e cantare le mie canzoni, sempre rigorosamente musica rock.”

·        La musica che cos'è per te da allora ad oggi?

“La musica è sempre stata la parte più importante della mia vita. Da sempre tutte le persone che incontro mi chiedono della mia musica, sentono che stanno davanti ad un musicista. Non so per quale motivo, ma da quando ne ho ricordo, la musica è sempre esistita in me, una cosa che sgorga come l'acqua dalla fonte, non ho il minimo problema nel crearne di nuova, se mi siedo davanti ad un quaderno, ed oggi davanti ad un computer, un nuovo pezzo sta per nascere.
Mi piace anche molto creare per altri, mi basta un minimo di stimolo per partire e comporre musica e parole…Ho collaborato ultimamente alla realizzazione del pezzo Fior di Lucania, che sta andando fortissimo su YouTube, collaboro con il gruppo salentino dei Petrameridie, gruppo che è stato chiamato a suonare a Melpignano alla famosissima "notte della taranta" e stiamo scrivendo insieme a Pietro Cirillo un brano sulla nostra Basilicata.Ovviamente scrivo e collaboro in molti progetti con Tony Esposito, con lui ho pubblicato molto materiale, come il pezzo "Danza e ridanza" che da anni riproponiamo sulle piazze d'Italia e del mondo.
Poi ci sono i miei dischi da solista e in gruppo…”

·       Nella tua famiglia siete due musicisti e un pittore, purtroppo da poco volato in cielo e sei cugino del grande Maestro Infantino crescere in un clima di confronto "familiare" credi che abbia determinato le tue scelte artistiche?

“La mia famiglia, soprattutto il ramo degli Infantino di Tricarico, è una famiglia di artisti, in tutti, anche quelli che fanno altre cose, c'è un qualcosa che attiene all'arte.
In casa, noi tre fratelli abbiamo costituito una cellula d'Arte, e, insieme abbiamo creato musica e curato da sempre grafica e fotografia, un gruppo ben assortito e completato da mia cognata Tiziana, che spesso curava i testi che poi pubblicavo.
Antonio Infantino è stato determinante per me, per quel che riguarda la musica popolare, che ho iniziato ad apprezzare e ad amare grazie a lui.
Mi ha ANCHE insegnato tutte le metodologie per giungere ad un buon prodotto finale, che deve essere curato in ogni suo dettaglio e  garantisco, che per pubblicare un cd intero, è necessario uno sforzo enorme, c'è bisogno di tante persone, maestranze e tecnici e in cui tutto può' portare fuori strada.
Nella musica, nello stile, nella composizione dei testi, c'è bisogno di molto lavoro e soprattutto di una chiarezza di intenti, bisogna avere dei contenuti che possano essere capiti e condivisi dal pubblico.”

·     Il tuo percorso di musicista è improntato ad una ricerca sottile, sei anche autore dei testi, e questa poliedricità farebbe di te oggi un’artista completo…In realtà non ci si sente mai completi in arte o sbaglio?


“Ogni autore, mette nella sua arte quello che è.
Se sei una persona colta, profonda non farai mai nulla di sciatto, se credi nell'Arte, non potrai mai permetterti di scrivere cose commerciali, fatte solo per il ritorno economico. L'artista poi è in continua evoluzione, non arriva mai per fortuna, può' solo andare avanti e rendersi conto in un secondo momento di quello che sta scrivendo, molto spesso i testi sgorgano dalla quotidianità' e dai momenti della vita, dagli amori, dalle delusioni, dalla politica e dalla strada, ogni componente, combinata con la sensibilità di un artista dà vita ad un qualcosa.
Tutti sono degli artisti o potrebbero esserlo e non lo sanno!!
Parlando poi di ricerca, io sono alla ricerca delle mie radici, delle possibilità future, e di tutto ciò che noi italiani del Sud siamo nel bene e nel male, leggo moltissimi autori, amo il mondo classico e gli scenari fantastici, anche psichedelici.
Per fortuna non ci si sente mai completi, fino alla fine ci sarà sempre qualcosa di nuovo che mi sorprenderà e mi dar nuovi stimoli.”

·        Puoi raccontarci come nasce la musica e come il testo quando sei ispirato lasciandoci percorrere questo viaggio attraverso il tuo lavoro sin qui e quello che stai per affrontare?

“Non è facile descrivere il mistero della Creazione e del Creato.
Chi ha figli sa che questi non si scelgono, essi vengono al mondo da soli ed ognuno di loro avrà un proprio carattere, una propria bellezza ed un proprio successo nella vita.
Quando nasce una canzone, l'artista ne diventa padre, potrà proteggerla, curarla, ma lei da sola avrà una personalità ben definita, questo mistero, quello della vita, mi si ripropone davanti ogni volta che nasce un nuovo pezzo, ed io, sono un patriarca, ho moltissimi figli e li amo ed odio tutti!!
Certe volte nascono prima i testi, altre volte, i testi iniziano a sgorgare sulle note o sugli accordi; ho notato, che i miei pezzi migliori, sono nati di getto, all'improvviso, senza stare a pensarci su, le mie cose più semplici, sono quelle che il pubblico apprezza di più.

·        Hai suonato con il grande jazzista James. Senese  e con Pino Daniele, nel panorama musicale oggi quale vuoto ha lasciato Pino Daniele, il Pino Daniele, di quegli anni?
 Sono onorato di essere entrato a fare parte di quello che nella storia della musica italiana viene definito neapolitan power. E' stato Tony Esposito che ha creduto nelle mie potenzialità di autore, di musicista e di cantante, dandomi negli anni sempre più' spazio. Con lui ho fatto concerti in tutta l'Italia ed in molte parti del mondo e mi ha fatto incontrare tutti i grandi della musica mi ha fatto apparire in moltissimi suoi lavori, abbiamo fatto insieme anche molta radio e televisione.
Quando Pino Daniele ci ha chiamato per fare i famosi concerti del Palapartenope, mi ricordo ne fui felicissimo, per la prima volta potevo stare insieme a tutti questi grandi. Li ho conosciuti tutti. Da James Senese a Tullio, Joe amoroso, Rino Zurzolo, Ernesto Vitolo e tanti altri, da questi concerti è nata l'idea di farne un libro,"per rabbia e per amore" di A. D'Errico (ed.Arcana) che parla appunto del movimento musicale Neapolitan Power, un libro con interviste di molti di noi autori e musicisti. Pino Daniele ha incarnato la napoletanità, con parole semplici ha saputo dipingere la realtà' vissuta dal popolo napoletano.
Contemporaneamente è riuscito ad avvicinare  la musica più importante, soprattutto il rock, il jazz alla musica popolare.
Stessa cosa per James Senese e Franco Del Prete, con "Napoli centrale" ed Enzo Gragnaniello, lo scugnizzo poeta.
Ognuno di loro è stato per me un maestro, ho cercato ed ascoltato sempre i loro consigli, ogni cosa che questi mi hanno detto è stato un pezzo che ho aggiunto al mio percorso musicale. Devo anche aggiungere a questi grandi nomi anche quello di Tony Cercola, che mi ha fatto veramente conoscere moltissimi musicisti napoletani e per lui ho scritto "stelle d'oro" presente nel suo cd voci scomposte.”

·       Direttore Musicale, in questo ruolo cos'hai scoperto dell'uomo e cosa dell'artista?

“Mi è capitato spesso di fare il direttore musicale, ad esempio  con i Tarantolati di Tricarico o con il gruppo salentino dei Petrameridie.
Spesso questo ruolo non è facile, bisogna accontentare i committenti, i musicisti e le aspettative di tutti quelli che ruotano attorno ad un progetto.
Molto spesso quindi in questo ruolo è più l'uomo che comanda che non l'artista, certe volte c'è anche bisogno di una certa fermezza e quindi di chiarezza di idee, altrimenti non si riesce a mettere in piedi uno spettacolo fatto bene, e c'è bisogno soprattutto di autorevolezza per poter poi risolvere tutta una serie di problematiche che certamente si troveranno sul cammino di un gruppo. Più' il gruppo è grande e più questo mestiere è difficile.
Ovviamente c'è la componente artistica di composizione, arrangiamento e quello di creare un suono, che sia il marchio del gruppo, e. ogni gruppo ha le sue particolari peculiarità.
Diverso era il lavoro con i Bellitamburi, dove c'era una grande unità di intenti e dove spesso mi confrontavo con mio Fratello Giorgio, che ha il potere di capire se un pezzo funziona o no, e questo mi è stato sempre di grande aiuto.”

·       Come si affrontano le logiche di mercato che obbligano a determinati percorsi artistici quando si è scelto di non essere artista commerciale?


“Il mercato purtroppo comanda e a tutti i livelli. Ovviamente sono necessarie delle vere e proprie strategie, ed è sempre importante vendere il proprio prodotto e rivolgersi alle persone giuste.
Non avrebbe senso ad esempio, cercare di vendere musica etnica o musica industrial a clienti che cercano musica pop, o a Sanremo, bisogna individuare degli obbiettivi possibili, fare delle vere e proprie ricerche sul cosa e a chi proporre.
Io ho amato sempre la musica di qualità, e cerco di rivolgermi sempre ad artisti o ad operatori di settore che si occupano di quello che anche a me interessa comunicare. Poi gli ingredienti di storie di successo sono molteplici, quindi le risposte possono cambiare notevolmente da produzione a produzione...”

·       Con chi vorresti condividere i tuoi silenzi? Nella tua musica scorre sangue e rabbia, dolcezza e sogno, ritmi ancestrali e presenti: che cos'è per te l'armonia?

“La musica è la mia voce, il modo di farmi sentire, di far conoscere al mondo i miei pensieri, il mio credo politico, il mio modo di percepire gli altri, il mio modo di amare, ed anche i miei silenzi.
Per ottenere questo, c'è bisogno di grande ricerca e di grande disciplina, c'è bisogno di studio e di approfondimento continuo, e non di rado mi capita, di fare ricerche per poter poi scrivere e parlare di qualcosa.
C'e' bisogno di scrivere in continuazione, di ricercare musica, di esercitarsi per poterla mettere su un palco, ci sino quindi tante componenti artistiche e tante componenti artigiane.
L'armonia è un grande mistero, è matematica con l'anima...”

Nadia Lisanti


Nadia Lisanti




https://ssl.gstatic.com/ui/v1/icons/mail/images/cleardot.gif

Ritratti. L'attore Ettore Bassi: "Quando vesto i panni di Angelo Vassallo mi sento responsabilizzato"





Il lavoro di adattamento teatrale, la sua trasposizione letteraria in un altro linguaggio, e trattandosi di monologo soprattutto, non può prescindere da una parola: empatia. L’empatia è quello spazio sacro all’interno del quale si entra in contatto con le persone, immedesimandosi, senza provare compassione, in cui si comunica creando un legame.
Ecco cosa succede quando Ettore Bassi, attore di indiscussa bravura e professionalità,  interpreta Angelo Vassallo il Sindaco di Pollica ucciso il 5 Settembre del 2010 con 7 colpi di pistola andati a segno, in un cruento agguato di camorra, mentre rientrava a casa. “Il Sindaco Pescatore” monologo teatrale scritto da Dario Vassallo ed Edoardo Erba, diretto da grande regista Enrico Lamanna e firmato dalla “Panart Produzioni” di Michele Ido torna in scena il 13 Marzo al Teatro Sociale di Fasano e ancora in tour a seguire: Bitonto, 19 marzo – Massafra, 20 marzo – Polignano, 21 marzo – Imperia, 2 aprile – Alfonsine, 3 aprile – Lucera, 5 aprile – Nardò, 6 aprile - Lecce 7 aprile – Grottaglie, 8 aprile – Adelfia, 10 aprile - Manfredonia, 18 aprile.

Incontro Ettore Bassi, che in questo magnifico lavoro ci restituisce tutta la valenza esemplare della figura di Angelo Vassallo:

• Vestire i panni di Angelo Vassallo, una scelta che arriva nella tua vita attraverso quale canale?

“Sono stato io stesso ad interessarmi alla figura di Angelo Vassallo, dopo aver seguito il lavoro che la Fondazione Vassallo porta avanti, mi sono messo in contatto con Dario Vassallo, il fratello di Angelo, cui è sembrata una buona idea l’adattamento teatrale sotto forma di monologo…Ed ero contento che avesse accettato”.

• Non avevi conosciuto in vita Angelo Vassallo?

“Non ho avuto quest’onore, no.

• Sei attore professionista, nella tua vita ti sei misurato sia col cinema che con il teatro, in ruoli di personalità di una certa levatura morale e spirituale, come San Francesco per esempio…La trasposizione teatrale è stata una scelta mirata? Come hai costruito il personaggio?

“Benchè il cinema da un certo punto di vista possa essere più vario, si possono raccontare per immagini situazioni diverse è vero, ma nel suo codice di comunicazione difetta per approfondimento. Il monologo teatrale, per forma e punto di vista della narrazione, riesce a riportare il vero senso emozionale e partecipativo della figura del Sindaco Pescatore. Non sono un imitatore, e per indossare i panni di Angelo Vassallo, ho sicuramente attinto da uomo del Sud a quel bagaglio che mi porto dentro, anche nel restituirgli voce “dialettale” voglio dire…Sono stato ad Acciaroli a cercare le atmosfere del paese, ho camminato per quelle strade, mi sono confrontato con le persone, mi sono trasportato fisicamente all’interno dei luoghi vissuti da Angelo Vassallo per diventare lo strumento culturale attraverso cui veicolare la conoscenza della sua figura anche nelle scuole, soprattutto per lasciare quel passaggio di testimone importante per le generazioni future. In scena mi contorno di un gruppo di ragazzi, ogni volta diversi, proprio perché avvenga questo  passaggio di consegna, perché colgano l’eredità del messaggio di Angelo Vassallo”.

• Lo spettacolo ritorna al Teatro Sociale di Fasano dove ha debuttato l'anno scorso, sintomo di una crescente attenzione...Ti piacerebbe che questa storia diventasse accessibile anche al mondo delle persone sorde?

“Mi auguro che lo spettacolo sia sempre più accolto in teatro, che abbia sempre più diffusione…Certo!Non ci ho mai pensato, alla traduzione in lingua dei segni italiana dello spettacolo ma sarei aperto a fare questo esperimento. Si potrebbe realizzare con una formula di contaminazione dei linguaggi. Il pubblico dello spettacolo finora incontrato è trasversale, proprio per la forza “adattativa” della scrittura: in scena al teatro e in matinée”.

• Quale credi sia la forza di un Sindaco, che oggi siede al fianco di martiri o eroi o piuttosto Uomini, semplici uomini al servizio delle istituzioni come G.Falcone, P. Borsellino, P.Impastato e cosa provi quando diventi Angelo Vassallo?

“Angelo Vassallo fa riflettere sulla forza morale della vita, su come seguire un certo percorso rispondendo ad un’etica personale e non oggettiva: ognuno di noi porta nella realtà una verità, a volte dimentica di esprimerla, Angelo riusciva ad esprimere verità valide per tutti, lo faceva con la sincerità, e con una giusta dose di caparbietà. Siamo narcotizzati dall’idea che la burocrazia non si possa scardinare, Angelo Vassallo, era il portato di una visione alternativa, dimostrava con la sua volontà che era possibile seguire strade diverse: quando indosso i suoi panni mi sento responsabilizzato".

• Quando credi Angelo Vassallo sia morto e quando sia vivo ancora?
“Muore ogni volta che qualcuno in politica ritorna ad abdicare, con un piccolo gesto, al percorso di sostegno della moralità del fare e vive ogni volta che lo si ricorda”.

Un caso ancora aperto, la verità sull’uccisione che non arriva…Hai mai avuto paura?

“No mai. Io sono semplicemente il tramite che esiste tra il lavoro della Fondazione e la società civile…Tenere vive le coscienze delle persone non è contro nessuno”.

La strana sensazione di aver parlato con l’attore un attimo prima che entri in scena. E di nuovo mi ritorna la sensazione della forte empatia che lega l’attore Ettore Bassi al Sindaco Pescatore Angelo Vassallo.

Nadia Lisanti

lunedì 25 luglio 2016

Ritratti. Nato a Palermo in una famiglia di persone udenti, Andrea Falanga, Lis Performer per amore di una bambina.



Andrea Falanga, nasce a Palermo in una famiglia di persone udenti. Dopo gli studi per diventare Assistente alla Comunicazione LIS (Lingua dei Segni Italiana), professione in Italia poco conosciuta, al di fuori degli ambienti specialistici, intraprende la professione artistica con successo e dopo “Il Notre Dame de Paris in LIS”, opera teatrale della regista e giornalista Laura Santarelli, affianca la sua arte di Interprete Performer Lis alla figura del cantante Matteo Setti. Lo incontriamo per dare voce a questo affascinante mondo silenzioso, cercando di interpretare il senso, non comune, di una vicinanza alla cultura Sorda:

·        Andrea Falanga come nasce la tua storia di attore, Interprete LIS, LIS Performer?
“Tutto ebbe inizio grazie a lei, la bimba che conobbi e che sarebbe poi diventata mia moglie, Aida Catalano, lei che aveva alle spalle generazioni di sordi, una madre sorda e un padre udente. La LIS, a quel punto, mi scorre come il sangue nelle vene, diventa di fatto la mia seconda lingua. Le mie tecniche si raffinano sempre di più quando comincio a frequentare  riunioni religiose, dedicate a persone sorde, in cui mi presto come interprete volontario.
Nel 2007 Andrea decido di intraprendere i corsi di formazione di 1° e 2° livello e, nel 2008, di 3° livello di Assistente alla Comunicazione, per poter così lavorare nelle scuole. Il profilo è ormai tracciato, inizio il percorso formativo. Entro a far parte di una cooperativa affiliata all'ENS di Palermo a titolo di Assistente alla Comunicazione e Accompagnatore-Autista per il servizio pomeridiano.”

L’obiettivo rimane costante, migliorarsi e crescere, definire con qualità il proprio potenziale per poter diventare un interprete. Ma la strada è in salita…Cosa succede a questo punto?
“Le occasioni scarseggiano ma è vietato arrendersi!Finchè nel 2013 decido di frequentare il corso dell'AES - Accademia Europea Sordi - ONLUS di Roma,   la cui Presidente e Coordinatrice  è Laura Santarelli, interprete del TG1 in RAI.
Il corso, oltre ad affinare gli aspetti interpretativi della LIS per diventare un bravo interprete, mi rivela la naturale inclinazione nei confronti dell’Arte. E qui ancora l’inaspettato e insperato arriva a sorprendermi: l’occasione è quella di intraprendere un percorso da performer e per portare in scena un progetto musical-teatrale in Lingua dei Segni, lo spettacolo “Notre Dame de Paris” in versione LIS, diretto e ideato dalla stessa Laura Santarelli, che ha come obiettivo una maggiore partecipazione dei sordi nel mondo del teatro. Decisiva la performance artistica che presento: la canzone “Dio ma quanto è ingiusto il mondo” (originariamente cantata da Giò Di Tonno nel musical tanto acclamato), durante una lezione di cui Laura Santarelli presiede la direzione. La Santarelli, piacevolmente sorpresa della mia interpretazione, decide di affidare il ruolo da protagonista, precedentemente da lei interpretato, al promettente allievo, che inaspettatamente supera il Maestro. Il corso porta i risultati sperati, il voto finale è 110 e lode ma, soprattutto, mi cuce addosso il ruolo di Quasimodo, che porto per la prima volta in scena proprio a Palermo nel giugno 2013.”
·        A questo punto Andrea Falanga Lis performer è pronto per la sua ascesa professionale,  e proprio all’apice della sua formazione ed espressione artistica fa un nuovo incontro decisivo…
“Gli eventi si susseguono, con “Notre Dame de Paris” in versione LIS, calco la scena di alcuni dei palchi più prestigiosi del Paese come il Teatro Augusteo di Salerno, il Brancaccio e il Teatro Olimpico di Roma; in quest’ultimo spettacolo la partecipazione di un ospite illustre, interprete di questo musical, Matteo Setti, che dà al suo personaggio, Gringoire, la voce che abbiamo imparato a conoscere. L’incontro con Matteo mi porta a desiderare di proseguire con più determinazione sulla strada del teatro e dell’interpretazione e a sensibilizzare un numero crescente di persone sul meraviglioso ed espressivo mondo della Lingua dei Segni Italiana.”
·        Della tua esperienza, breve ma intensa, professionalmente valida con la LIS (Lingua dei Segni Italiana) cosa hai lasciato di te stesso, cosa hai compreso, cosa ti è rimasto?
“Tutto è iniziato molto rapidamente, ogni persona ti da sempre qualcosa e nella vita non si finisce mai di imparare. Quando salgo sul palco, l’odore del palco, l’attesa, il cuore che batte, è tutto reale per me, diventa tutto semplice, cuore, dalla prima all’ultima goccia di sudore.
Tutto inizia dalle prove, da quando ti siedi e inizi a scrivere, buttare giù le idee, cercare i brividi… Quando il pubblico risponde con gli applausi, la gioia immensa…
Il mio obiettivo vuole essere emozionare ed emozionarsi sempre…Cercare la meraviglia attraverso le mie mani, sentir vibrare il cuore.
Ho capito che non è tutto scontato, in questo mondo serve tanta passione, sacrificio, inventiva…Non bisogna scalciare, sentirsi protagonisti, bisogna essere molto, molto umili… Imparare in silenzio da chi ha più esperienza di te, ringraziare e imparare.”
·        Progetti per il futuro? Puoi raccontarci qualcosa?
“Sto selezionando delle canzoni italiane e straniere da poter interpretare in Lis. Vorrei creare dei video con il mio gruppo di Palermo, coreografare canzoni con altri interpreti è uno dei miei sogni. Ma non sono solo, tutto ciò lo farò con l’aiuto di Matteo Setti. Voglio far avvicinare tutto il pubblico al mio mondo e mettere insieme queste due tipologie di artisti creando un unico grande show.”
·        Cos’è per te la Cultura Sorda in Italia, alla luce del mancato riconoscimento nazionale della Lis come lingua nazionale?
“Il riconoscimento della Lingua dei Segni in Italia aprirebbe tantissime opportunità che, oggi, ai sordi sono negate, e per loro sarebbe una grande conquista che premia e risarcisce per anni di lotte e delusioni. Un diritto che i sordi hanno è quello del riconoscimento della loro lingua, la LIS, una lingua vera e propria, con una struttura grammaticale ben precisa, come qualsiasi altra lingua esistente. Ma c’è ancora troppa poca coerenza tra quello che si dice e i pochi fatti.”
·        Come cambieresti il mondo della scuola, rispetto all’inserimento delle figure specialistiche preposte allo sviluppo e crescita delle persone sorde, in virtù della tua esperienza?
“Almeno qui da noi, ti parlo della realtà di Palermo, gli assistenti alla comunicazione in Lis, come figure specifiche preposte nel mondo scolastico iniziano tardi ad entrare nelle scuole…Alle superiori il lato emotivo, la personalità di un ragazzo sordo è ben formata, è adulta. Quindi tutto dovrebbe avere inizio nella scuola d’infanzia e dovrebbe essere inserito l’interprete Scolastico, è una figura davvero fondamentale per la crescita dell’alunno…Poi per concepire l’inclusione a 360°, la Lis dovrebbe essere ovunque, dalla Recita di Natale ai saluti di fine anno scolastico, dalla musica al teatro…Inclusione vera significa tutto con i sordi e per gli udenti  che vogliono avvicinarsi a questo mondo.”
·        Ti ringrazio per questa preziosa testimonianza, ti lasciamo al tuo nuovo lavoro con Matteo Setti…Prima di andar via puoi lasciarci un “segno” di differenza, se c’è, tra l’interpretazione a teatro e l’interpretazione con lui?
“Quando sali sul palco tutto diventa teatro.
Collaborare con Matteo è un continuo imparare, ti fa sentire a tuo agio, è un artista pieno di risorse, una grande esperienza internazionale messa a disposizione di un mondo sconosciuto ai più. Lui sarà impegnato con il nuovo tour italiano di “Notre Dame dei Paris” ma cercherà di seguire anche questo progetto attivo per promuovere l’Arte in Lingua dei Segni. Quando si va ad interpretare sul palco si studia un modo di “cantare” che, comunque sia è artificiale, “registrato”; avere accanto Matteo in live, invece, amplifica l’emozione, la sua voce e l’interpretazione entrano proprio dentro. Una persona umile e pronta a mettersi in gioco anche con la Lingua dei Segni e devo dire che “Il Tempo delle Cattedrali” è già entrata nelle  “corde” delle sue mani.”


Nadia Lisanti